Traduzione di The Necessity of a Universal Project by Ellen Meiksins Wood
Vedi articolo originale 2025, Volume 76, Numero 10 (Marzo 2025)
“Il postmodernismo ha rinunciato all’universalismo illuminista, consegnandosi al capitalismo globale. Ma oggi più che mai serve un progetto emancipatorio unitario: solo una critica totale del sistema, come quella marxista, può opporsi alla sua logica di mercificazione e sfruttamento.”
Abstract
Mentre il capitalismo si impone come sistema totalizzante, il postmodernismo abdica alla possibilità di una critica radicale, frammentando il sapere e neutralizzando la resistenza. Questo saggio smaschera la falsa “apertura” del pensiero postmoderno, che di fatto preclude ogni alternativa al dominio del mercato. Contro il feticcio della differenza e l’eclettismo acritico, l’autrice rivendica l’urgenza di un universalismo di classe capace di unificare le lotte. Solo ripartendo da un’analisi sistemica (quella marxista) è possibile decifrare la rabbia sociale e organizzare un’opposizione efficace. Una requisitoria contro la resa intellettuale della sinistra e un appello a riprendere il filo interrotto dell’emancipazione.
Keywords:
Postmodernismo – Capitalismo totale – Universalismo marxista – Critica di classe – Totalitarismo mercificato – Rabbia sociale – Eclissi della sinistra
Riferimenti chiave:
- La falsa antinomia tra Illuminismo e capitalismo
- L'”età dell’oro” come trappola ideologica (Hobsbawm)
- L’urgenza di una conoscenza totalizzante contro il frammentismo postmoderno
Una delle ironie del postmodernismo è che, pur abbracciando – o almeno arrendendosi – al capitalismo, rifiuta il “progetto illuminista”, ritenendolo responsabile di crimini che sarebbero più giustamente attribuiti al capitalismo. Naturalmente sarebbe sciocco sostenere che il capitalismo è stato responsabile di tutti i nostri mali moderni o addirittura negare i benefici materiali che spesso lo hanno accompagnato. Ma sarebbe altrettanto sciocco negare gli effetti distruttivi associati agli imperativi capitalistici di auto-espansione, “produttivismo”, massimizzazione del profitto e concorrenza. È difficile vedere come questi effetti appartengano intrinsecamente all’Illuminismo. Come minimo, dobbiamo chiederci se un universalismo emancipatorio equivalga alla stessa cosa dell’espansionismo capitalista o dell’imperialismo, e se i frutti della scienza e della tecnologia “occidentali” debbano per definizione servire i bisogni dell’accumulazione capitalistica e della distruzione della natura che inevitabilmente li accompagna.1
In ogni caso, viviamo in un momento storico che più di ogni altro richiede un progetto universalistico. Questo è un momento storico dominato dal capitalismo, il sistema più universale che il mondo abbia mai conosciuto, sia nel senso che è globale sia nel senso che penetra ogni aspetto della vita sociale e dell’ambiente naturale. Nel trattare con il capitalismo, l’insistenza postmodernista sul fatto che la realtà sia frammentaria e quindi accessibile solo a “conoscenze” frammentarie è particolarmente perversa e invalidante. La realtà sociale del capitalismo si sta “totalizzando” in modi e gradi senza precedenti. La sua logica di mercificazione, accumulazione, massimizzazione del profitto e concorrenza permea l’intero ordine sociale; e la comprensione di questo sistema “totalizzante” richiede proprio il tipo di “conoscenza totalizzante” che il marxismo offre e che i postmodernisti rifiutano.
L’opposizione al sistema capitalista ci richiede anche di fare appello a interessi e risorse che unificano, invece di frammentare, la lotta anticapitalista. In primo luogo, questi sono gli interessi e le risorse della classe, la forza più universale capace di unire diverse lotte di emancipazione; Ma, in ultima analisi, stiamo parlando degli interessi e delle risorse della nostra comune umanità, nella convinzione che, nonostante tutte le nostre differenze manifeste, ci sono certe condizioni fondamentalmente e irriducibilmente comuni di benessere umano e di autorealizzazione che il capitalismo non può soddisfare e il socialismo può.
Per le persone di sinistra, e in particolare per le giovani generazioni di intellettuali e studenti, la più grande attrattiva del postmodernismo è la sua apparente apertura, contro le presunte “chiusure” di un sistema “totalizzante” come il marxismo. Ma questa pretesa di apertura è in gran parte spuria. Il problema non è solo che il postmodernismo rappresenta un pluralismo intellettuale che ha minato le sue stesse fondamenta. Né si tratta semplicemente di un eclettismo acritico ma innocuo. C’è qualcosa di più serio in gioco. L'”apertura” delle conoscenze frammentarie del postmodernismo e la sua enfasi sulla “differenza” sono acquistate al prezzo di chiusure molto più fondamentali. Il postmodernismo è, nel suo modo negativo, un sistema spietatamente “totalizzante”, che preclude una vasta gamma di pensiero critico e di politiche di emancipazione, e le sue chiusure sono definitive e decisive. I suoi presupposti epistemologici lo rendono inaccessibile alla critica, immune alla critica come il tipo più rigido di dogma (come si fa a criticare un corpo di idee che esclude a priori la pratica stessa dell’argomentazione “razionale”?). E precludono – non solo rifiutando dogmaticamente, ma anche rendendo impossibile – una comprensione sistematica del nostro momento storico, una critica totale del capitalismo e praticamente qualsiasi azione efficace.
Se il postmodernismo ci dice qualcosa, in modo distorto, sulle condizioni del capitalismo contemporaneo, il vero trucco è capire esattamente quali sono queste condizioni, e dove andremo da qui. Il trucco, in altre parole, è suggerire spiegazioni storiche per queste condizioni invece di limitarsi a sottomettersi ad esse e indulgere in adattamenti ideologici. Il trucco è identificare i problemi reali ai quali le attuali mode intellettuali offrono soluzioni false – o nulle – e, così facendo, sfidare i limiti che impongono all’azione e alla resistenza. Il trucco è rispondere alle condizioni di oggi non come allegri (o addirittura miserabili) robot, ma come critici.2
Il mondo è sempre più popolato non da allegri robot, ma da esseri umani molto arrabbiati. Allo stato attuale, ci sono pochissime risorse intellettuali disponibili per capire quella rabbia, e quasi nessuna risorsa politica (almeno a sinistra) per organizzarla. Il postmodernismo di oggi, con tutto il suo pessimismo apparentemente disfattista, è ancora radicato nell'”età d’oro del capitalismo”.3 È tempo di lasciarsi alle spalle quell’eredità e affrontare la realtà di oggi.
Note
- ↩ Ciò solleva anche grandi questioni sul rapporto tra capitalismo e illuminismo, che non c’è spazio per discutere qui. In “Modernità, postmodernità o capitalismo?” [Monthly Review, luglio-agosto 1996], cerco di delineare alcune distinzioni tra le condizioni storiche che hanno dato origine all’Illuminismo e quelle che hanno dato origine al processo di sviluppo capitalistico.
- ↩ [Sui “robot allegri” vedi C. Wright Mills, The Sociological Imagination (Oxford: Oxford University Press, 1955), 175. — Ed.]
- ↩ In Eric Hobsbawm, L’età degli estremi: il breve ventesimo secolo, 1914-1991 (New York: Pantheon, 1995), 165-67. L'”Età dell’Oro” (all’incirca dal 1947 al 1973) è inserita tra l'”Età della Catastrofe” e la “Frana”. [Questa nota è stata spostata da un altro punto del testo originale di Wood.
