Una delle possibili strategie degli Usa nei confronti della oramai emersa potenza economica ed industriale cinese (e di molti altri paesi del Sud globale) è di fare marcia indietro. Finora la chiave della forza Usa è stata nel potere finanziario e nella delocalizzazione delle produzioni a basso saggio di profitto così facendo rimanendo scoperti sul piano della autonomia produttiva. Un fattore di debolezza per chi aspira al monopolio del potere sul resto del mondo. La politica dei dazi ed altri atti (anche se a prima vista contradditori ed improvvisati) quali le pressioni sui paesi fornitori ad investire in America si configurano come un tentativo di costruire una fortezza isolata nel continente americano, una sorta di ritorno alla dottrina Monroe. Tutto lascia credere che il processo non sarà indolore e che si stanno apprestando venti di guerra.
Una nota di Gian Luigi Betti
Per oltre trent’anni, la globalizzazione è stata presentata come un processo inarrestabile, guidato dalla logica del mercato e dalla promessa di integrazione universale. Ma oggi, nel cuore dell’Impero, qualcosa si è rotto. Gli Stati Uniti, promotori della liberalizzazione commerciale e dell’espansione del capitalismo globale, stanno progressivamente disaccoppiandosi da settori chiave dell’economia mondiale, soprattutto in relazione alla Cina. Si tratta di un “delinking al contrario”: non più i paesi periferici che si sottraggono all’ordine mondiale, ma la superpotenza stessa che rivede le regole del gioco.
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