Una nota di Gian Luigi Betti
Per oltre trent’anni, la globalizzazione è stata presentata come un processo inarrestabile, guidato dalla logica del mercato e dalla promessa di integrazione universale. Ma oggi, nel cuore dell’Impero, qualcosa si è rotto. Gli Stati Uniti, promotori della liberalizzazione commerciale e dell’espansione del capitalismo globale, stanno progressivamente disaccoppiandosi da settori chiave dell’economia mondiale, soprattutto in relazione alla Cina. Si tratta di un “delinking al contrario”: non più i paesi periferici che si sottraggono all’ordine mondiale, ma la superpotenza stessa che rivede le regole del gioco.
Il termine delinking fu coniato da Samir Amin, teorico del sistema-mondo, per indicare la necessità dei paesi del Sud globale di sottrarsi alla dipendenza strutturale dai centri capitalisti. Per Amin, delinking significava riappropriarsi della sovranità economica, ricostruendo una logica di sviluppo autonoma, centrata sui bisogni interni e non sulle imposizioni del mercato mondiale.
Oggi, però, gli Stati Uniti sembrano adottare una versione speculare, ma opposta, di quella strategia. Con la guerra dei dazi, le sanzioni extraterritoriali, il blocco delle esportazioni tecnologiche verso la Cina e gli incentivi al reshoring, Washington sta deliberatamente frammentando la rete globalizzata che aveva costruito. Non per liberarsi da una dipendenza, ma per riaffermare la propria egemonia in un contesto multipolare. Non per svilupparsi autonomamente, ma per rallentare lo sviluppo altrui.
Questo delinking “imperiale” sta già producendo effetti. Le catene del valore globali si accorciano, le aziende ristrutturano le rotte commerciali, emergono nuove alleanze regionali come i BRICS allargati e la Belt and Road cinese. La globalizzazione non è finita, ma si sta trasformando in qualcosa di più frammentato, conflittuale e geostrategicamente polarizzato.
Il paradosso è evidente: la potenza che più ha beneficiato della globalizzazione ora cerca di smontarla pezzo dopo pezzo, temendo che possa sfuggirle di mano. Ma il mondo è cambiato: oggi esistono alternative, infrastrutture e mercati capaci di sfidare l’unipolarismo americano.
La domanda non è più se la globalizzazione sopravvivrà, ma quale forma assumerà. E soprattutto: chi ne scriverà le nuove regole.
Un mondo oltre l’Impero?
La strategia americana di delinking solleva un interrogativo teorico rilevante: che ne è del “post-impero” di cui parlavano Michael Hardt e Antonio Negri all’inizio degli anni Duemila? La loro celebre tesi sosteneva che l’egemonia americana avesse ceduto il passo a un ordine globale decentrato, dove il potere si diffondeva in reti sovranazionali e biopolitiche, piuttosto che in apparati statali centralizzati. Oggi, però, proprio gli Stati Uniti sembrano ricorrere a mezzi “arcaici” — dazi, sanzioni, guerre tecnologiche — per bloccare la circolazione globale, minando le stesse basi della rete imperiale descritta da Hardt e Negri.
Questo apparente paradosso può risolversi in due modi: o il paradigma dell’Impero è superato, e stiamo tornando a una logica da imperi concorrenti, oppure quelle stesse pratiche aggressive fanno parte integrante dell’Impero stesso, in quanto espressione di un capitalismo per espropriazione (come teorizzato da David Harvey), che ha sempre bisogno di nuove frontiere da chiudere e riaprire secondo convenienza. In quest’ottica, il delinking non sarebbe la fine dell’Impero, ma la sua mutazione per sopravvivere nel caos geopolitico.
Multipolarismo: pace o nuova instabilità?
Il secondo nodo riguarda la natura del nuovo ordine multipolare che sta emergendo. Dopo decenni di dominio unipolare USA, oggi assistiamo all’ascesa di blocchi alternativi — BRICS+, Eurasia, Sud Globale — che reclamano maggiore voce nella governance mondiale. Questa dinamica è spesso presentata come un progresso democratico: più attori, più equilibrio. Ma il multipolarismo, da solo, non garantisce la pace.
La storia insegna che il bilanciamento tra potenze può generare stabilità o conflitto, a seconda dei margini di cooperazione, delle sfere di influenza e della competizione per le risorse. Se mancano regole comuni, meccanismi multilaterali forti e fiducia reciproca, il mondo rischia di scivolare non verso una pacifica policentricità, ma verso una conflittualità sistemica permanente, dove le “guerre per procura” e il controllo tecnologico sostituiscono le invasioni armate, ma non riducono la tensione globale.
In questa cornice, il delinking americano non è solo una strategia economica, ma una mossa geopolitica che accentua la frammentazione e alimenta la corsa alla sovranità tecnologica, monetaria e militare.
Conclusione:
Il delinking imposto dagli Stati Uniti rappresenta un tentativo di riscrivere le regole della globalizzazione, ma rischia di produrre l’effetto opposto: un mondo più frammentato, meno cooperativo, più incline alla logica del blocco e del conflitto. Che sia la crisi dell’Impero o la sua metamorfosi, è chiaro che siamo entrati in una fase di ri-organizzazione brutale degli equilibri mondiali.
Il futuro non sarà privo di globalizzazione, ma sarà fatto di globalizzazioni plurali, concorrenti, conflittuali. E dipenderà anche da noi — cittadini, studiosi, movimenti — se esse tenderanno verso un mondo più giusto o verso una nuova, inquieta guerra di tutti contro tutti.
Riferimenti bibliografici essenziali
- Samir Amin, Delinking: Towards a Polycentric World, Zed Books, 1990.Il testo fondativo sul concetto di delinking, in cui Amin propone una strategia autonoma di sviluppo per i paesi del Sud globale, svincolata dai dettami del mercato mondiale.
- Michael Hardt e Antonio Negri, Impero, Rizzoli, 2002 [ed. orig. Empire, Harvard University Press, 2000].Un’analisi teorica del nuovo ordine mondiale postmoderno e post-statuale, centrato su un impero deterritorializzato e reticolare, anziché su singoli Stati-nazione.
- David Harvey, Il nuovo imperialismo, Feltrinelli, 2003 [ed. orig. The New Imperialism, Oxford University Press, 2003].Introduce il concetto di “accumulazione per espropriazione”, utile per leggere le pratiche attuali del capitalismo globale come forme aggiornate di espansione imperialista.
- Giovanni Arrighi, Il lungo XX secolo, Il Saggiatore, 1996 [ed. orig. The Long Twentieth Century, Verso, 1994].Una genealogia delle egemonie mondiali (Genova, Olanda, Gran Bretagna, USA), utile per contestualizzare storicamente l’attuale passaggio a un ordine multipolare.
- Achille Mbembe, Critica della ragione negra, Ombre Corte, 2013 [ed. orig. Critique de la raison nègre, La Découverte, 2013].Per comprendere le dinamiche neocoloniali e le gerarchie che persistono nella globalizzazione, utile anche nel contesto delle rivendicazioni del Sud globale.
- Parag Khanna, Il secolo asiatico?, Fazi, 2019 [ed. orig. The Future is Asian, Simon & Schuster, 2019].Una visione geopolitica recente e mainstream che descrive l’ascesa dell’Asia e il declino dell’unipolarismo americano.