Kill the Europe by Alessandro Volpi

Una chiara volontà di distruggere l’Europa e di farne davvero una colonia. E’ sempre più evidente che gli Stati Uniti intendono smembrare l’Unione europea e sostituirla con la Nato, o con qualcosa di simile. I dazi al 30%, conservando peraltro, quelli già esistenti al 50%, sono lo strumento che Trump intende utilizzare per convincere i singoli paesi europei a trattare, uno ad uno, con il governo americano nella speranza di strappare condizioni di favore. Di fronte alle imposizioni daziare che si basano sull’idea trumpiana, tutt’altro che peregrina, che le economie dei vari paesi europei non possano fare a meno della loro quota di esportazioni verso il mercato Usa, e di fronte ad una pervicace chiusura da parte dei gruppi dirigenti dei diversi Stati del Vecchio Continente verso la Cina, e’ molto probabile infatti che ogni paese arrivi a mettere in discussione la tenuta complessiva dell’Unione, e dell’Eurozona, provando ad ottenere deroghe per le proprie produzioni. In estrema sintesi, Trump ha capito la profonda dipendenza degli europei dagli Usa, e il loro servilismo, e vuole utilizzare i dazi per porre fine a qualsiasi esperienza di Europa condivisa. In tal modo, non ci sarebbero più veri concorrenti per l’economia produttiva Usa, con il conseguente afflusso di intere filiere entro i confini americani, non ci sarebbe più alcun dubbio in merito alla destinazione della grande massa di risparmi europei verso i listini americani e, soprattutto, verso il pericolante debito americano, mentre il dollaro, dopo la dissoluzione dell’euro generata dalla fine dell’eurozona, tornerebbe a rafforzarsi in maniera evidente, potendo, peraltro, definire con le singole valute nazionali politiche monetarie più o meno accondiscendenti a seconda della subordinazione politica ed economica agli Usa, come del resto è avvenuto per decenni. Se l’Europa si trasforma nell’insieme sempre più conflittuale di Stati che  riconoscono nell’impero americano il loro principale elemento di sopravvivenza economica, si aprirà una ulteriore, nuova fase della globalizzazione neoliberale, questa volta contraddistinta in toto da una accettazione del modello a stelle e strisce che imporrà lo smantellamento totale degli Stati sociali e l’affermazione di un’ulteriore, gigantesca ondata di privatizzazioni affidate ai grandi fondi, a cui Trump affiancherà la propria finanza. Con la guerra dei dazi, infatti, gli Stati Uniti renderanno impossibile qualsiasi idea di debito pubblico comune europeo, che individueranno come “penalità” da punire appunto con i dazi nei confronti dei paesi che lo sostenessero, così come proibiranno qualsiasi idea di tassazione sulle big tech e sulle piattaforme digitali. I singoli Stati europei che vorranno trattare condizioni più miti di asservimento doganale dovranno votare contro ogni ipotesi di tal genere e difendere quei paradisi fiscali interni indispensabili per le major tecnologiche Usa. L’Europa delle micro patrie, dove Trump sosterrà apertamente le forze di Destra neofascista, saranno dunque dollarizzate e svuotate di capacità economiche e sociali, con cittadini trasformati, attraverso il risparmio, in soggetti dipendenti dalle decisioni delle Big Three. Naturalmente resterà saldamente in piedi la Nato per mantenere l’occupazione di vaste aree dell’Europa da parte delle basi americane, per consolidare la totale dipendenza dagli Usa nella prospettiva di un sistema di relazioni internazionali solo militare e per finanziare alcuni settori, molto costosi, dell’economia Usa. Gli Stati Uniti con un costo degli interessi sul debito federale che ha superato ampiamente la spesa militare hanno bisogno di finanziatori esterni del loro apparato strategico: Rearm Europe servirà proprio a questo e, del resto, tale piano è costruito sui debiti nazionali e non sul debito comune. I singoli Stati europei si indebiteranno per portare al 5% una spesa militare destinata alla Nato, sotto rigoroso comando Usa come dimostra l’inenarrabile Rutte, e indirizzata alle grandi industrie americane di armi, e non solo, facendo impennare costantemente il valore dei loro titoli, insieme a quelli delle società dei singoli Stati europei, naturalmente ampiamente partecipate dalle Big Three. Il costo di quei debiti pubblici, parallelamente, sarà lo strumento di accelerazione dello smantellamento dello Stato sociale. Di fronte a tutto questo stiamo assistendo all’osceno e complice racconto di Ursula Von der Leyen, della Commissione, dei governi volenterosi e no, della “amicissima di Trump” Giorgia Meloni, dei cantori di un surreale realismo della schiavitù alla Gentiloni, Letta etc., secondo cui occorre continuare a trattare per evitare pericolosi strappi con Trump. La verità è un’altra il capitalismo Usa è in profonda crisi, ha bisogno dei dazi e del recupero della credibilità del proprio debito e del dollaro e l’Europa deve immolarsi in tale direzione: la classe dirigente europea neoliberale è disposta a farlo perché teme il crollo di quel sistema di cui è coerente espressione mentre i presunti sovranisti immaginano di essere i vassalli prediletti dell’imperatore, puntando a salvare quei gruppi sociali che hanno accettato di vivere in un mondo dominato dalle disuguaglianze, dove l’egoismo della singola condizione, del tutto temporanea e precaria, prevale su ogni considerazione collettiva, secondo una logica che vale per i super ricchi come, purtroppo, per i più poveri, che dalla narrazione dominante sono stati privati della coscienza di sé. Ma questo capitalismo, nonostante il suicidio europeo, non è più credibile proprio per la stessa debolezza americana, la cui crisi profonda è colta dai “padroni del mondo”, solerti a sostituire i dollari con i Bitcoin e a operare una gigantesca rapina del risparmio in ogni parte del pianeta, e soprattutto dal nuovo mondo produttivo, a cominciare dalla Cina, che sta aspettando, senza fretta, il definitivo declino dell’Occidente, a cui è mancata qualsiasi volontà di affrancarsi realmente dal dominio imperiale Usa.

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