Marx e la società delle comunità / di J.B. Foster MR 2025/03

Monthly Review Vol. 77 N. 03 (Luglio-Agosto 2025) Per leggere l’originale MR 2025/03

John Bellamy Foster rilegge Marx attraverso la lente del comunalismo: dalle società antiche alla Comune di Parigi, un’analisi rivoluzionaria che svela come la produzione collettiva sia stata – e possa tornare a essere – il fondamento di un’alternativa al capitalismo. Un viaggio nell’antropologia marxista per ripensare il futuro della lotta di classe.

SCHEDA SINTETICO-ANALITICA

TESI CENTRALE

Foster dimostra che il comunismo in Marx non è un’utopia astratta, ma:

  • Radicato nella storia: analisi di forme comunitarie pre-capitaliste (dai villaggi indiani alla Mark germanica).
  • Progetto concreto: proposta di una società post-capitalista basata su proprietà comune e pianificazione democratica.

STRUTTURA DELL’ANALISI

  1. Le radini filosofiche:
    • Influenza di Epicuro e Aristotele sulla concezione materialista della comunità.
    • Critica alle visioni individualiste (es. Proudhon).
  2. Comunalismo nella storia:
    • Esempi storici: Comune agraria russa (mir), villaggi asiatici, Inca.
    • Transizioni: Dal tribalismo alle società classiste, con persistenza di residui comunitari.
  3. La Comune di Parigi (1871):
    • Modello di autogoverno operaio: abolizione dello Stato separato, salari egualitari, controllo popolare.
    • Limiti: Isolamento, mancanza di coordinamento nazionale.
  4. Attualità politica:
    • Esperienze contemporanee (Cina, Venezuela) come laboratori di comunalismo.
    • Critica al “comunismo impossibile” neoliberale.

ARGOMENTI CHIAVE

  • Doppia natura della proprietà: Diritto d’uso comune vs. alienazione capitalistica.
  • Ecologia e comunalismo: Gestione razionale del metabolismo natura-società.
  • Etnologia rivoluzionaria: Scoperta delle società gilaniche (matriarcali) come alternative storiche.

PROPOSTE

  • Pianificazione democratica: Superamento dell’anarchia di mercato.
  • Stato-comune: Autogoverno territoriale come in Venezuela.
  • Transizione non lineare: Integrare residui comunitari pre-capitalisti (es. lotte indigene).

Keywords: Comunismo primitivo, Autogestione, Marxismo ecologico, Lavoro associato, Proprietà comune, Antropologia marxista.

Utile per: Studiare le alternative al capitalismo, il rapporto tra ecologia e socialismo, e le forme storiche di organizzazione comunitaria.


Traduzione di Marx and Communal Society by John Bellamy Foster Per leggere l’originale MR 2025/03

“In definitiva, il comunismo è l’unica cosa importante nel pensiero di [Karl] Marx”, ha osservato nel 1983 il teorico politico ungherese britannico R. N. Berki.1 Anche se questa era un’esagerazione, è innegabile che l’ampia concezione di Marx della società comunitaria/comunismo costituisse la base di tutta la sua critica della società di classe e della sua visione di un futuro praticabile per l’umanità. Eppure, ci sono stati pochi tentativi di impegnarsi sistematicamente con lo sviluppo di questo aspetto del pensiero di Marx così come è emerso nel corso della sua vita, a causa della complessità del suo approccio alla questione della produzione comunitaria nella storia e delle sfide filosofiche, antropologiche e politico-economiche che questo ha presentato, estendendosi ai nostri giorni. Tuttavia, l’approccio di Marx alla società comunitaria è di autentico significato non solo per comprendere il suo pensiero nel suo insieme, ma anche per aiutare a guidare l’umanità oltre la gabbia di ferro della società capitalista. Oltre a presentare un’antropologia filosofica del comunismo, ha approfondito la storia e l’etnologia delle attuali formazioni sociali comunitarie. Ciò ha portato a indagini concrete sulla produzione e lo scambio in comune. Tutto ciò contribuì alla sua concezione del comunismo del futuro come società di produttori associati.2

Nel nostro tempo, la produzione e lo scambio di comunità, e gli elementi di uno stato comunitario, sono stati sviluppati, con vari gradi di successo, in un certo numero di società socialiste dopo le rivoluzioni, in particolare in Unione Sovietica, Cina, Cuba, Venezuela e altrove in tutto il mondo. La comprensione di Marx della storia, della filosofia, dell’antropologia e dell’economia politica della società comunitaria/collettiva è quindi un’importante fonte di intuizione e visione, non solo rispetto al passato, ma anche al presente e al futuro.

L’ontologia sociale della produzione comunitaria

Marx fu un prodotto fin dalla più tenera età dell’Illuminismo radicale, influenzato in questo senso sia da suo padre, Heinrich Marx, sia dal suo mentore e futuro suocero, Ludwig von Westphalen. A questo si aggiunse il suo profondo incontro con la filosofia idealista tedesca, come esemplificato dall’opera di G. W. F. Hegel. Marx era un abile studioso dell’antichità greca, impegnato in intensi studi sia di Aristotele, che considerava il più grande dei filosofi greci, sia di Epicuro, il principale pensatore materialista del mondo ellenistico. Completò la sua tesi di dottorato sulla filosofia della natura di Epicuro nel 1841, emergendo come un materialista presto impegnato con l’idea del comunismo.3

Marx lesse Che cos’è la proprietà? di Pierre-Joseph Proudhon già nel 1842. Tuttavia, insieme ad altri pensatori radicali in Germania negli anni ’40 dell’Ottocento, iniziò a discutere dei movimenti comunisti contemporanei emergenti in Francia a seguito della diffusione di queste idee in Germania nel libro del funzionario prussiano Lorenz von Stein Il socialismo e il comunismo nella Francia odierna (1842) e Il socialismo e il comunismo di Moses Hess(1843), che prese la forma di un commento critico su von Stein. Hess fu il cofondatore nel gennaio 1842 del giornale liberale Rheinische Zeitung, di cui Marx divenne caporedattore nell’ottobre 1842. Uno dei primi compiti di Marx come direttore fu quello di rispondere alle accuse secondo cui la Rheinische Zeitung era un giornale comunista a causa della pubblicazione di due articoli sulla casa e sulle forme di governo comuniste, e di un pezzo sui seguaci di Charles Fourier, tutti scritti da Hess. La risposta di Marx a nome della Rheinische Zeitung fu molto cauta, non sostenne né si oppose al comunismo, pur chiarendo che “la Rheinische Zeitung… non ammette che le idee comuniste nella loro forma attuale possiedano una realtà nemmeno teorica, e quindi non può desiderare la loro realizzazione pratica“. Marx cita qui per la prima volta Fourier, insieme a Victor Prosper Considérant e Proudhon, riferendosi anche all’idea di comunismo nella Repubblica di Platone.4

Per la maggior parte dei pensatori dell’epoca, la questione del comunismo era semplicemente un’opposizione alla proprietà privata ed era trattata in modo puramente filosofico, in gran parte da un punto di vista idealistico. Hess vedeva la società come originata da un patto sociale tra gli individui, distinta sia dalla nozione epicurea dell’istituzione di un contratto sociale originale tra gruppi di parentela, che fu sconfitto e poi resuscitato in forme più limitate, mediate dalla classe, in seguito alla rivolta sociale e alla morte dei re; e il senso di umanità di Aristotele come animale politico/sociale.5 La visione individualistica della proprietà del primo socialismo francese e tedesco rifletteva l’influenza di Proudhon, che, seguendo Jean-Jacques Rousseau, non riuscì a distinguere tra proprietà privata e proprietà in generale, vedendo la proprietà semplicemente come un “furto”.6 Proudhon non riuscì quindi a comprendere la nozione di proprietà come avente il suo principio attivo nell’appropriazione dalla natura. La sua analisi negava implicitamente l’universalità della proprietà nella società umana e, più specificamente, l’esistenza della proprietà comune, come descritta in Hegel e Marx. Eppure, per Hegel, la proprietà, anche se sorgeva universalmente nell’appropriazione dalla natura, esisteva come diritto astratto solo come proprietà privata. Il diritto astratto ha quindi portato alla dissoluzione della proprietà comune.7

In contrasto con queste visioni borghesi dominanti, che penetrarono nel pensiero socialista, la prospettiva di Marx era sia storica che materialista. Gli esseri umani sono stati fin dall’inizio animali sociali. La produzione, basata sull’appropriazione dalla natura per scopi umani, era originariamente comunitaria e tenuta in comune. Il completo dominio della proprietà privata come appropriazione/produzione alienata è venuto in essere solo sotto il capitalismo, preceduto da “migliaia di secoli” di storia umana.8 Marx attinse fin dall’inizio alla sua vasta conoscenza della filosofia e della storia greca e romana e alle tracce della storia germanica antica, rivelata da Cesare nelle Guerre galliche e da Tacito nella sua Germania, che Marx tradusse nel 1837.9 Nel corso della sua vita, Marx ha continuato a esplorare qualsiasi prova storica e antropologica fosse disponibile rispetto alla produzione comunitaria, allo scambio e alla proprietà, considerando anche la logica interna della produzione comunitaria attraverso concezioni filosofiche ed economiche. Come studioso dell’antichità classica, molto probabilmente era a conoscenza degli antichi resoconti delle comunità domestiche in India con la comune lavorazione del suolo, registrati dall’ammiraglio di Alessandro Magno, Nearco, e riportati da Strabone.10

I resti del vecchio sistema germanico di proprietà comune e di produzione collettiva sulla terra sopravvissero durante la vita di Marx nella regione intorno a Treviri, dove crebbe. Suo padre, un avvocato, aveva discusso con lui le ramificazioni di questi diritti di proprietà collettiva in gioventù.11 I segni del diritto consuetudinario ereditato dai beni comuni dell’epoca feudale, erano evidenti in tutta la Germania dell’inizio del XIX secolo. Nello stesso mese in cui affrontò la questione del comunismo nella Rheinische Zeitung, Marx scrisse il suo primo articolo di economia politica su “Dibattiti sulla legge sui furti di legno”, in cui difendeva con forza i diritti consuetudinari del contadino renano che persistevano nell’era moderna legati alla rimozione del legno morto (insieme alle foglie e alle bacche morte) dalle foreste. un atto che è stato poi criminalizzato. In questo contesto, ha esplorato come tali diritti consuetudinari venissero sistematicamente espropriati dai proprietari terrieri in combutta con lo stato. “Siamo solo sorpresi,” dichiarò, “che al proprietario del bosco non sia permesso riscaldare la stufa con i ladri di legna.”.12

La critica di Marx alla proprietà privata negli anni ’40 e ’50 dell’Ottocento dipendeva da una concezione ontologica degli esseri umani che enfatizzava le relazioni sociali e comunitarie derivanti dall’appropriazione della natura. La maggior parte della conoscenza concreta della storia dell’antichità in Europa prima della metà del XIX secolo dipendeva da antiche fonti greche e romane. Come scrisse Eric Hobsbawm nell’introduzione alle Formazioni economiche pre-capitaliste di Marx (parte dei Grundrisse di quest’ultimo, scritti nel 1857-1858), “Né un’educazione classica [europea] né il materiale allora disponibile resero possibile una seria conoscenza dell’Egitto e dell’antico Medio Oriente”.13 Questo era vero anche per l’India, Ceylon e Giava in varia misura, anche se lì Marx era in grado di fare affidamento sui resoconti discutibili degli amministratori coloniali britannici e olandesi. La breve trattazione dei rapporti di proprietà comunali sotto gli Incas in Perù, inclusa nella Storia della conquista del Perù di William Prescott (1847), occuperà un posto importante nell’analisi di Marx nei Grundrisse e nel Capitale. Dal XV fino alla metà del XVI secolo, la tribù predominante della formazione sociale Inca negli attuali Perù, Ecuador e Bolivia era “suddivisa in 100 comuni di clan (ayllu), che gradualmente si svilupparono in comuni di villaggio”.14

Prima della “rivoluzione nel tempo etnologico” che diede origine ai moderni studi antropologici, a partire dal 1859, la conoscenza storica e antropologica della produzione comunitaria nelle prime società basate sulla parentela e sui tributari a disposizione di Marx era limitata.15 La conoscenza storica e antropologica di Marx della produzione comunitaria nei suoi primi anni era quindi fortemente orientata verso l’antica società di classe greca e romana, dove le precedenti forme di produzione comunitaria avevano lasciato il loro segno. Ciononostante, si affidò alla sua profonda comprensione ontologica del lavoro e della produzione nella società, che gli permise di sviluppare un’analisi penetrante che, almeno nelle sue grandi linee, rimane rilevante tutt’oggi.

Alla base dell’intera analisi di Marx c’era la sua ontologia materialista del lavoro e della produzione umana, introdotta per la prima volta nei suoi Manoscritti economici e filosofici del 1844 e che divenne la base della sua concezione materialista della storia, così come fu presentata nel 1845-1846 nell’Ideologia tedesca, scritto con Frederick Engels. Nell’ontologia sociale di Marx, il lavoro e la produzione erano un processo sociale a cui gli individui prendevano parte come esseri sociali. La storia umana potrebbe essere percepita nel cambiamento dei “modi di appropriazione”.16 Tutta la cultura umana era radicata nella realtà del lavoro umano e dell’appropriazione della natura, e quindi nella formazione di rapporti di proprietà all’interno delle comunità, che in origine erano comunità di parentela. La prima forma di proprietà raffigurata nell’ideologia tedesca fu la proprietà tribale, associata alla caccia e alla raccolta e alle prime forme di agricoltura. Questi erano caratterizzati dall'”unità originaria tra una particolare forma di comunità (clan) e la corrispondente proprietà della natura”. Qui la divisione del lavoro rimase poco sviluppata. La società era patriarcale, mentre le prime forme di divisione del lavoro erano associate allo sviluppo della “schiavitù latente nella famiglia”. In questa prima descrizione della società tribale in Marx, non c’è ancora alcuna menzione diretta della produzione o della proprietà comune.17

Vale la pena notare che non c’è alcun riferimento nell’Ideologia tedesca al “comunismo primitivo [originale]”, un termine che né Marx né Engels hanno mai usato se non in riferimento al “sistema comunale asiatico”, la forma slava di possesso della terra e, un po’ più tenue, i precursori del marco tedesco, e non si applicava alle società di caccia e raccolta. Queste ultime, anche se comunitarie nei loro accordi, non erano viste come modi di produzione in senso pieno, ma come società di parentela tra clan. L’uso del termine “comunismo primitivo” per descrivere specificamente le società di caccia e di raccolta fu un’importazione successiva all’interno della Seconda e della Terza Internazionale.18

La seconda forma storica di proprietà nell’ideologia tedesca è “l’antica proprietà comunale e statale”, che nasce “dall’unione di diverse tribù in una città per accordo o per conquista, e che è ancora accompagnata dalla schiavitù”.19 La “proprietà terriera” privata nell’antichità, come Marx spiegò in seguito nei suoi Quaderni etnologici, sorse “in parte dalla separazione dei diritti individuali dei parenti o dei membri della tribù dai diritti collettivi della Famiglia o della Tribù … in parte dalla crescita e dalla trasmutazione della sovranità del capo tribù“. La proprietà privata della terra fu quindi inizialmente mediata dalla proprietà fondiaria comune (ager publicus), e tuttavia servì gradualmente a introdurre rapporti di classe che indebolirono l’ordine collettivo.20

La nozione antica di “Comune e Stato” che governa le relazioni sociali nell’antichità era associata alla polis come una società governata dalla comunità derivante da precedenti relazioni tribali. Come ha scritto Patricia Springborg in “Marx, la democrazia e l’antica polis”, la polis era “una comune urbana in cui la proprietà privata esisteva accanto alla proprietà comune”. La polis greca, nella concezione di Marx, spiegava Springborg, manteneva “in sospensione le forme tribali e comunitarie mentre inaugurava lo Stato come fenomeno”.21 L’economia e, al contrario, lo Stato, come sostenevano Hegel e Marx e, più tardi, Karl Polanyi, non erano ancora stati sradicati dalla polis. Quindi, l’alienazione dello Stato dalla società civile nel senso moderno non esisteva ancora, permettendo la persistenza di forme comunitarie, insieme alle divisioni di classe.22

Per Marx, la schiavitù, sebbene per molti versi costituisse il fondamento materiale della polis greca dell’età dell’oro, era subordinata all’ordine comunitario che governava i rapporti di proprietà, derivante da precedenti relazioni di parentela. La crescita della proprietà mobile e del denaro, in particolare della moneta, iniziata in Lidia nel VII secolo a.C., ebbe l’effetto di intensificare le distinzioni di classe. Questo sviluppo fu cruciale per spiegare le origini e l’espansione della schiavitù servile nell’antichità, contribuendo anche alla dissoluzione finale dell’ordine comunitario antico di Grecia e Roma..23

Infatti, sebbene enfatizzasse fortemente il ruolo della schiavitù nell’antichità, Marx non caratterizzò mai la società antica come un vero e proprio “modo di produzione schiavista”, come sarebbe poi diventato comune nella teoria marxista. Così, nei Passaggi dall’antichità al feudalesimo di Perry Anderson, ci viene detto che l'”innovazione decisiva” dell’antico mondo greco-romano fu la “schiavitù servile su larga scala” o il “modo di produzione schiavistico”.24 Al contrario, Marx vedeva la produzione di schiavi nell’antichità come un attributo secondario della forma comunitaria e statale, associata alla crescita del denaro e del commercio. Al suo interno, la polis era radicata, fin dai tempi primordiali, in relazioni tribali o di parentela, come nella fratria greca, da cui sarebbero emerse le sue divisioni di classe tra l’aristocrazia e il demos (nel caso di Atene) con la crescita della proprietà privata. La schiavitù era vista da Marx come una sorta di aggiunta. Tuttavia, questo non gli impedì di notare nei Grundrisse, con le età d’oro dell’Atene di Pericle e della Roma di Augusto chiaramente in mente, che economicamente “il lavoro forzato diretto è il fondamento del mondo antico; La comunità poggia su questo come suo fondamento”.25

Le critiche ricorrenti all’acquisizione illimitata di ricchezza, così centrali nella filosofia greca da Aristotele a Epicuro, furono interpretate da Marx (e da molti studiosi fino ai giorni nostri) come il risultato di trasformazioni sociali riconducibili principalmente ai primi segnali dell’economia monetaria, che emerse soprattutto negli interstizi della società e nelle nazioni dedite al commercio. Questo nuovo contesto aprì la strada alla ricerca sistematica della ricchezza fine a sé stessa, minando le precedenti relazioni social26i. Come scrisse Marx: «Tutte le forme precedenti di società — o, che è lo stesso, di forze della produzione sociale — naufragarono nello sviluppo della ricchezza. Quei pensatori dell’antichità che possedevano coscienza denunciarono quindi direttamente la ricchezza come dissoluzione della comunità.».27

L’economia politica della società comunitaria

“Tutti i trattati di economia politica”, scrivevano Marx ed Engels, “danno per scontata la proprietà privata“.28 In opposizione a questo e in linea con Hegel, Marx insisteva sul fatto che “tutta la produzione è appropriazione della natura da parte di un individuo all’interno e attraverso una specifica forma di società. In questo senso è una tautologia dire che la proprietà (l’appropriazione) è una condizione preliminare della produzione”, mentre affermare che la produzione è identica alla proprietà privata significa negare la maggior parte della storia umana. La produzione e la proprietà comunitarie costituivano l'”economia naturale” della società, che aveva prevalso a un basso livello di sviluppo delle forze produttive. La proprietà privata è emersa con la società di classe e la divisione del lavoro, diventando la forma di proprietà dominante solo nell’ambito dei rapporti di produzione capitalistici.29

Proprietà“, scriveva Marx nei Grundrisse, “significa originariamente – nella sua forma asiatica, slava, classica antica, germanica – il rapporto del lavoratore (che produce o si auto-riproduce) soggetto alle condizioni della sua produzione o riproduzione come propria”. Qui intendeva con la forma “asiatica” principalmente le comunità dei villaggi in India e Giava; dalla forma “slava”, il russo mir, o comune contadina, che persisteva ancora nel XIX secolo; dalla forma “classica antica”, le relazioni comunitarie ancora evidenti nella polis greca; e con la forma germanica, l’antica tradizione marchesca, in cui la comune si rifletteva nelle tribù germaniche che “si riunivano” periodicamente su base collettiva, mentre non “stavano insieme“.30 Marx si riferiva anche alla proprietà comunale come evidenziato nei Celti. Tacito scriveva nella sua Germania a proposito delle tribù germaniche: “I terreni, proporzionati al loro numero, vengono assegnati a turno per la coltivazione dall’intera comunità dei coltivatori. Successivamente, vengono suddivisi tra loro secondo il rango; la divisione risulta agevole grazie alle vaste distese di terra coltivabile disponibili. I campi da arare vengono cambiati ogni anno, e ce n’è ancora in abbondanza.”.31 Si riconosce che in molte società comunitarie, “l’individuo non possiede una proprietà distinta dalla collettività, ma ne è semplicemente il detentore,” secondo i principi dell’usufrutto collettivo. Una parte del lavoro in surplus va invariabilmente alla ‘comunità superiore’ per la sua riproduzione. In tali contesti, ‘l’appartenenza alla comunità rimane la condizione preliminare per l’appropriazione della terra e del suolo, ma, in quanto membro della comunità, l’individuo è ‘proprietario privato’ di una ‘particella specifica’.”33

“Sia nei Grundrisse che nel Capitale, Marx attribuì grande importanza alle relazioni comunitarie peruviane sotto gli Incas. Basandosi sugli studi di Prescott, Marx osservò che nella società incaica l’individuo ‘non aveva il potere di alienare o aumentare i propri beni’ in riferimento alla terra, la quale era detenuta in modo collettivo e redistribuita ogni anno. Nel Capitale, egli descrisse il Perù in epoca incaica come avente una ‘economia naturale’, priva di merci, e parlò di ‘comunismo sviluppato artificialmente dei peruviani’. Ciò che affascinava Marx riguardo al Perù era che si trattava di una ‘società in cui le forme più elevate di economia, come la cooperazione, una divisione del lavoro sviluppata, ecc.’ erano presenti pur ‘senza alcuna forma di denaro’, in un contesto di ‘comunità del lavoro’. In altre formazioni sociali, come le comunità slave, Marx sottolineava che pur essendoci scambi monetari nelle relazioni esterne, essi non rappresentavano ‘il centro della società comunitaria come elemento costitutivo originario’. Persino nell’Impero Romano al suo apice, il ‘sistema monetario’ prevaleva solo nell’ambito dell’esercito.”.34

Marx considerava il “sistema comunitario asiatico” rappresentato dalle comunità rurali ancora esistenti come uno dei principali esempi dell'”unità originaria” tra i lavoratori e le condizioni naturali di produzione. Insisteva sul fatto che “un’intera collezione di modelli diversi (anche se a volte sopravvivono solo resti) [di ‘proprietà comunitaria primitiva‘] rimaneva in esistenza in India, dove il “lavoro comune” poteva essere visto nella “sua forma spontaneamente evoluta”. Infatti, “uno studio attento delle forme asiatiche, in particolare indiane, di proprietà comunitaria indicherebbe che la disintegrazione delle diverse forme primitive di proprietà comunitaria dà origine a diverse forme di proprietà. Ad esempio, i prototipi della proprietà privata romana e tedesca possono essere fatti risalire a certe forme di proprietà comunale indiana. La forma asiatica di proprietà nelle comunità di villaggio rappresentava una forma (teoricamente) anteriore all’antico modo greco e romano.35 Nell’analisi di Marx delle formazioni economiche precapitaliste, Hobsbawm osservava che “le forme orientali [asiatiche] (e slave) sono storicamente più vicine alle origini dell’uomo, dal momento che conservano la comunità primitiva (di villaggio) funzionante nel mezzo della più elaborata sovrastruttura sociale, e hanno un sistema di classi non sufficientemente sviluppato”.36

Si afferma spesso che Marx ed Engels abbiano dato grande rilievo all’idea di un ‘modo di produzione asiatico’, generalmente descritto — più sulla scorta di Karl Wittfogel che di Marx — come una società nella quale la necessità di vasti progetti di irrigazione, e dunque di un’enorme forza lavoro collettiva, avrebbe portato allo sviluppo di uno Stato centralizzato e dispotico, una sorta di ipertrofia statale. Tuttavia, in Marx ci sono poche basi per questa interpretazione. Sebbene egli abbia impiegato il concetto di modo asiatico nella prefazione al suo Contributo alla critica dell’economia politica del 1859, quasi non lo utilizzò più e finì per abbandonarlo. Inoltre, sebbene Marx in alcuni casi menzioni uno Stato dispotico che gestisce grandi opere idrauliche, la sua analisi si concentra in realtà sulle comunità rurali, che egli considerava collettivi autosufficienti fondati sulla proprietà, produzione e scambio comunitari, sia nell’agricoltura che nella piccola manifattura artigianale.37 Queste comunità di villaggio indiane, che Marx identificava esplicitamente con il ‘comunismo primitivo’, mostravano una tenacia di esistenza che rimandava a un’antichità persino superiore a quella delle ‘comuni e dello Stato antichi’ della Grecia e di Roma. Inoltre, a differenza della Grecia e Roma antiche, la schiavitù non costituiva il fondamento economico della società asiatica..38 Sebbene tali società assumessero spesso una forma tributaria dispotica, ciò non negava, per Marx, la natura comunitaria della proprietà e della produzione all’interno delle comunità di villaggio. Tuttavia, il dispotismo dall’alto, insieme alla colonizzazione, portava spesso alla loro stagnazione, riducendole a una semplice riproduzione sociale..39

La natura economica della produzione e dello scambio comunitari, indicava Marx nei Grundrisse, risiedeva nell’attenzione ai bisogni collettivi dell’essere umano e nello sviluppo dell’individuo sociale. ‘Il carattere comunitario della produzione renderebbe il prodotto fin dall’inizio un prodotto comunitario e generale’, non mediato dallo scambio di merci. ‘Lo scambio che avviene originariamente nella produzione…non sarebbe uno scambio di valori di scambio, ma di attività’ e di valori d’uso. Tale produzione/scambio comunitario sarebbe ‘determinato da bisogni e scopi comunitari [e] implicherebbe sin dall’inizio la partecipazione dell’individuo al mondo comunitario dei prodotti’. Per sua stessa natura, la produzione comunitaria non è determinata post festum [dopo la produzione] dal mercato, che permetterebbe al capitale di mediare tutte le relazioni produttive, bensì ex ante da principi comunitari, attraverso cui il carattere sociale della produzione è presupposto sin dall’inizio. 40 

In questo senso, la produzione sulla base della proprietà comune, in un contesto moderno, sosteneva, avrebbe dovuto essere realizzata “in conformità con un piano sociale definito”, che “mantenesse la giusta proporzione tra le diverse funzioni del lavoro e le diverse esigenze delle associazioni” dei lavoratori.41

Nella società capitalistica, secondo Marx, “il tempo è tutto, l’uomo non è nulla; Lui è, al massimo, la carcassa del tempo. La qualità non conta più. Solo la quantità determina tutto”.42 Al contrario, per quanto riguarda la produzione collettiva, il tempo di lavoro come pura quantità è cruciale, ma non ha l’ultima parola:

La determinazione del tempo rimane, ovviamente, essenziale. Meno tempo la società impiega per produrre grano, bestiame, ecc., più tempo guadagna per altre produzioni, materiali o mentali. Proprio come nel caso di un individuo, la molteplicità del suo sviluppo, del suo godimento e della sua attività dipende dall’economizzazione del tempo. Economia del tempo, a questo si riduce in ultima analisi tutta l’economia. Allo stesso modo, la società deve distribuire il suo tempo in modo mirato, al fine di ottenere una produzione adeguata ai suoi bisogni globali. Così, l’economia del tempo, insieme alla distribuzione pianificata del tempo di lavoro tra i vari rami della produzione, rimane la prima legge economica sulla base della produzione comune. Diventa legge, lì, in misura ancora più alta. Tuttavia, ciò è sostanzialmente diverso da una misurazione dei valori di scambio (lavoro o prodotti) in base al tempo di lavoro. Il lavoro degli individui in uno stesso ramo di lavoro, e i vari tipi di lavoro, sono diversi l’uno dall’altro non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente.43

È vero, scrisse Marx a Engels nel 1868, che “nessuna forma di società può impedire che il tempo di lavoro disponibile per la società regoli la produzione in una forma o in un’altra. Ma finché questa regolazione non viene attuata attraverso il controllo diretto e cosciente della società sul proprio tempo di lavoro — cosa possibile solo con la proprietà comune — ma invece tramite il movimento dei prezzi delle merci”, il risultato è l’anarchia della società capitalista di classe e l’incapacità di soddisfare la “gerarchia dei bisogni”. Nell’economia capitalista generalizzata basata sulle merci, i bisogni umani e sociali più urgenti, compreso lo sviluppo libero dell’individuo, anziché costituire il fine principale della produzione, diventano ostacoli all’accumulazione..44

L’emergente forza produttiva del lavoro come cooperazione attraverso la quale i lavoratori diventano membri di un “organismo lavoratore” esisteva prima del capitalismo. Come scrisse Marx nel Capitale, la “semplice cooperazione”, che realizzava “strutture gigantesche”, era evidente nelle opere colossali degli “antichi asiatici, egiziani, etruschi” e, come aveva notato altrove, in quelle degli Inca del Perù. Le prime civiltà in Asia “si trovarono in possesso di un surplus che potevano utilizzare per opere di magnificenza o utilità, e nella costruzione di queste, il loro dominio sulle mani e sulle braccia di quasi tutta la popolazione non agricola, ha prodotto monumenti stupendi che ancora oggi indicano il loro potere”.45 Tali società non mercantili erano in grado di estrarre surplus come tributo da una popolazione in gran parte agricola. Questo si conformava al modello delle economie naturali, o a quello che oggi è comunemente chiamato modalità di produzione tributaria, che comprendeva numerose civiltà precapitalistiche dall’antichità al feudalesimo, la maggior parte delle quali manteneva relazioni comunitarie o collettivistiche alla base della società.46 Come osservò Samir Amin, la “modalità tributaria” nacque dalle precedenti “modalità di produzione comunitarie.” Essa “aggiunge a una comunità di villaggio ancora esistente un apparato politico e sociale per lo sfruttamento di questa comunità tramite l’esazione di tributi.” Sebbene variasse notevolmente nel tempo e nei luoghi, costituì “la forma più diffusa delle società precapitalistiche.” 47

Commons (beni comuni), Comunità cittadine; dal Medioevo alla Comune di Parigi (1971)

Fino all’inizio dell’età moderna, i villaggi contadini in Europa si basavano su diritti consuetudinari in relazione alla terra, spesso accompagnati da una piccola produzione di merci. Quindi, la transizione dal feudalesimo al capitalismo in Europa, come in Inghilterra a partire dal XV secolo, dipendeva dalla dissoluzione dei diritti consuetudinari e dalla recinzione dei beni comuni, generando così un proletariato moderno, un processo che richiese secoli. I beni comuni o proprietà comune, anche all’interno del feudalesimo e di altre forme di produzione tributaria, erano associati ai diritti collettivi di appropriazione mentre erano orientati all’uso di valori e forme di scambio non mercantili. Mentre la proprietà privata in un’economia mercantile generalizzata è alienabile, la proprietà comune della terra non lo è, ed è radicata nei diritti consuetudinari di una particolare comunità o località. Come osserva lo storico Peter Linebaugh, “i diritti comuni sono incorporati in una particolare ecologia con la sua agricoltura locale”.48 Nella società medievale, le comunità contadine avevano diritti consuetudinari sull’utilizzo della terra e dei beni naturali, che ponevano dei limiti ai corrispondenti diritti dei signori feudali sul territorio.

I beni comuni medievali in Inghilterra vengono spesso considerati come basati esclusivamente sui “commons” propriamente detti (boschi, paludi e prati incolti usati per il pascolo e per materiali e risorse naturali). Tuttavia, questi commons in senso stretto non potevano essere separati dai “campi comuni” veri e propri, situati immediatamente intorno alle città e ai villaggi, che erano normalmente coltivati tramite aratura collettiva, con strisce di terra distribuite in modo da garantire parità tra gli abitanti nell’accesso alle terre più fertili..49 

Marx scrisse ampiamente ne “Il Capitale” e in altri testi sull’“enclosure” (recinzione) dei commons come momento cruciale nello sviluppo del capitalismo, e sui metodi brutali impiegati nella loro espropriazione forzata, commentando la “stoica tranquillità con cui l’economista politico osserva la più sfacciata violazione dei ‘sacri diritti di proprietà’ e gli atti di violenza più gravi contro le persone, non appena questi risultano necessari per gettare le basi del modo di produzione capitalistico.”.50

La nozione di società comunale è sempre stata legata alla questione della struttura di comando politico della società, così come ai temi della proprietà e della produzione, sollevando il problema del governo comunitario. Nella tarda epoca medievale, in particolare nell’Italia settentrionale e nelle Fiandre, emersero comuni urbani o città autogovernate, fondate su giuramenti vincolanti tra cittadini pari (di solito benestanti), in aperta sfida alle concezioni feudali di rango e vassallaggio. Questi comuni medievali si fondavano sulle corporazioni e presero la forma di oligarchie mercantili basate sulle gilde, dando vita al luogo d’origine della borghesia. L’epoca feudale generò anche concezioni utopiche dei comuni urbani, nate da una borghesia emergente.51 Il governo della città di Parigi dopo la presa della Bastiglia nel 1789 era noto come la Comune di Parigi. Fu da questa precedente Comune di Parigi, emergente da una rivoluzione borghese, che la Comune operaia rivoluzionaria di Parigi del 1871 avrebbe preso il suo nome.52 Ben lontana dai primi Comuni medievali, e anche dalla Comune di Parigi del 1789, l’effimera Comune di Parigi del 1871, sorta durante la guerra franco-prussiana, rappresentava, secondo Marx, non la costruzione di un nuovo potere statale, ma una negazione del potere statale, e quindi del dualismo alienato tra Stato e società civile. Costituiva un vero e proprio ordine comunale urbano rivoluzionario della classe operaia del XIX secolo, che doveva concludersi dopo settantadue giorni con un massacro di comunardi da parte dello Stato francese.

Per Marx, la Comune di Parigi indicava una nuova struttura di comando politico comunale che, rompendo con lo Stato capitalista come potere al di sopra della società, svolgeva tuttavia funzioni analoghe ad esso, ancora influenzate dall’ordine borghese da cui era emersa. Fu introdotto il suffragio universale maschile. I funzionari eletti dovevano essere pagati a tassi paragonabili al salario generale dei lavoratori, con il richiamo immediato di quelli eletti se non seguivano i mandati dei loro elettori. La Comune abolì la pena di morte, il lavoro minorile e la coscrizione, eliminando i debiti. I lavoratori furono organizzati in società cooperative per gestire le fabbriche, con l’intenzione di organizzare le cooperative in un unico grande sindacato. Fu creato un sindacato delle donne, così come un sistema di istruzione laica universale.53 Come scrisse Marx ne La guerra civile in Francia (1871):

La Comune intendeva abolire quella proprietà di classe che fa del lavoro di molti la ricchezza di pochi. Mirava all’espropriazione degli espropriatori. Ha voluto fare della proprietà individuale una verità, trasformando i mezzi di produzione, la terra e il capitale, che ora sono principalmente mezzi di schiavizzazione e di sfruttamento del lavoro, in semplici strumenti di lavoro libero e associato. Ma questo è il comunismo, il comunismo “impossibile…. [Infatti,] se la produzione cooperativa non deve rimanere una farsa e una trappola; se deve sostituire il sistema capitalista; Se le società cooperative unite devono regolare la produzione nazionale secondo un piano comune, prendendola così sotto il loro controllo e ponendo fine all’anarchia costante e alle convulsioni periodiche che sono la fatalità della produzione capitalistica, che altro… non sarebbe altro che il comunismo, il comunismo “possibile?… Questa fu la prima rivoluzione in cui la classe operaia fu riconosciuta come l’unica classe capace di iniziativa sociale. La grande misura sociale della Comune era la sua stessa esistenza lavorativa. Le sue misure speciali non potevano che indicare la tendenza di un governo del popolo da parte del popolo. Un’altra misura di questa formazione della classe operaia fu la consegna alle associazioni di operai, con riserva di indennizzo, di tutte le officine e le fabbriche chiuse, indipendentemente dal fatto che i rispettivi capitalisti fossero fuggiti o avessero preferito scioperare.54

Per Marx, la Comune di Parigi, con tutte le sue debolezze, aveva dimostrato che in una repubblica della classe operaia, un potere statale al di sopra della società civile non era più necessario, insieme all’abolizione della stessa società civile borghese. La Comune di Parigi era una comune urbana che prefigurava una repubblica operaia nel suo insieme basata sulla produzione collettiva sotto un piano comune e una governance sociale democratica, costituendo così una fase iniziale nella transizione verso una società comunista più completa. “La Costituzione comunale avrebbe restituito al corpo sociale tutte le forze fino ad allora assorbite dal parassita dello Stato che alimentava e ostacolava la libera circolazione della società”.55

Questa visione d’insieme della formazione della società comunale, acuita dall’esperienza della Comune di Parigi, si rifletteva nella Critica del programma di Gotha di Marx, scritta nel 1875. Per Marx, la Comune di Parigi del 1871 aveva rappresentato la forma finalmente scoperta della “dittatura rivoluzionaria del proletariato”, destinata, a suo avviso, a rovesciare la dittatura di classe del capitale, costituendo un nuovo ordine più democratico nella transizione al socialismo/comunismo. Nel comunismo pienamente sviluppato, come immaginato da Marx ed Engels, non ci sarebbe stato alcun Leviatano del potere statale che si ergesse al di sopra della società. Lo stato si sarebbe gradualmente “estinto” man mano che la struttura di comando politico veniva trasferita alla popolazione in generale, sostituita da ciò che Engels chiamava semplicemente comunità/comune.56 Né ci sarebbe una società civile in senso borghese. L’economia sarebbe gestita su un piano comune in cui le decisioni sarebbero prese principalmente ex ante dai produttori associati, non post festum dal mercato. Il lavoro creativo sarebbe “la prima necessità della vita”, in modo tale che “il libero sviluppo di ciascuno” diventerebbe la base del “libero sviluppo di tutti”. La struttura generale dell’economia sarebbe quella di una “società cooperativa basata sulla proprietà comune dei mezzi di produzione” e governata dal principio da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i propri bisogni. “All’interno della società cooperativa basata sulla proprietà comune dei mezzi di produzione, i produttori non scambiano i loro prodotti… Da oggi, a differenza della società capitalistica, il lavoro individuale non esiste più in modo indiretto, ma direttamente come parte integrante del lavoro totale”. In una società del genere, “la soddisfazione comune dei bisogni, come le scuole, i servizi sanitari, ecc.” sarebbe enormemente aumentata in proporzione, così come il regno dello sviluppo culturale in generale. Le “fonti della vita”, cioè la terra/natura, sarebbero trasformate in proprietà comune a beneficio di tutti.57

Nel delimitare il carattere globale della produzione, Marx scriveva nel Capitale: “La libertà, in questa sfera [determinata dalla necessità naturale], può consistere solo in questo, che l’uomo socializzato, i produttori associati, governano il metabolismo umano con la natura in modo razionale… realizzarlo con il minimo dispendio di energia”, nel processo di promozione dello sviluppo umano sostenibile.58 Il metabolismo sociale alienato tra l’umanità e la natura sarebbe trasceso. Come Marx aveva indicato all’inizio dei suoi Manoscritti economici e filosofici, “il comunismo, in quanto naturalismo pienamente sviluppato, è uguale all’umanesimo, e in quanto umanesimo pienamente sviluppato è uguale al naturalismo; è la vera risoluzione del conflitto tra l’uomo e la natura”.59

La rivoluzione nel tempo etnologico”

L’anno 1859 vide la pubblicazione sia di L’origine delle specie di Charles Darwin, che per la prima volta offrì una solida teoria dell’evoluzione naturale, sia di una connessa “rivoluzione nel tempo etnologico”, a seguito della scoperta di resti umani preistorici nella Grotta di Brixham, nel sud-ovest dell’Inghilterra. La scoperta nella Grotta di Brixham allungò di migliaia di secoli la durata del tempo in cui si riconosceva che gli esseri umani avevano vissuto sulla Terra. Resti umani, talvolta accompagnati da strumenti primitivi, erano già stati rinvenuti in precedenza, tra cui i primi resti di Neanderthal nella Valle di Neanderthal, in Germania, nel 1856. Sebbene meno spettacolare rispetto alla scoperta dei Neanderthal, i resti di Brixham non lasciarono alcun dubbio sulla “grande antichità dell’umanità”.”60

Il risultato fu una grande corsa all’esplorazione delle origini evolutive e antropologiche dell’essere umano, della natura delle società primitive e delle origini della famiglia, dello Stato e della proprietà privata, attraverso opere come:
Evidences as to Man’s Place in Nature (1863) di Thomas Huxley
Geological Evidences of the Antiquity of Man (1863) di Charles Lyell
Pre-historic Times (1864) di John Lubbock
Village-Communities in the East and West (1871) di Henry Sumner Maine
Ancient Society (1877) di Lewis Henry Morgan
The Aryan Village in India and Ceylon (1880) di John Budd Phear
In Germania, Georg Ludwig von Maurer proseguì le ricerche iniziate nel 1854 con la sua grande opera sulla marca germanica: Introduzione alla storia delle costituzioni della marca, del villaggio e della città e del potere pubblico.

Tra il 1880 e il 1882, Marx compose una serie di estratti dalle opere di Morgan, Phear, Maine e Lubbock, noti come i suoi Quaderni Etnologici. Un anno prima aveva preso ampi appunti dagli studi etnologici del giovane sociologo russo Maxim Kovalevsky, il cui manoscritto, La proprietà fondiaria comunitaria: cause, percorso e conseguenze della sua dissoluzione, trattava delle relazioni comunitarie in India, Algeria e America Latina..61 Nel periodo 1880–1881, annotò dei brani tratti da Java; or How to Manage a Colony (1861) di William B. Money. 

La fonte dell’interesse di Marx per gli studi etnologici nella fase finale della sua vita è evidenziata al meglio dalla sua reazione all’opera di Maurer sul “Mark” germanico, in cui Maurer aveva dimostrato in modo definitivo che il Mark aveva una base comunitaria più solida di quanto si pensasse in precedenza. Scrivendo a Engels nel 1868, Marx osservava che queste indagini etnologiche di Maurer e di altri rivelavano – a loro insaputa – quanto fosse essenziale “guardare oltre il Medioevo, verso l’epoca primitiva di ogni nazione, e che [questo] corrisponde alla tendenza socialista.” Tuttavia, Maurer e altri studiosi etnologici affini, come il filologo e storico della cultura Jakob Grimm, secondo Marx non comprendevano realmente questa tendenza: “Si stupiscono poi di trovare ciò che è più nuovo in ciò che è più antico.” Le forme comunitarie sopravvissute, residui di società più egualitarie del passato, indicavano in modo dialettico la futura società comunista sviluppata. 62

Grazie ai suoi precedenti studi approfonditi sulla proprietà comunitaria e sulla governance collettiva nelle società, Marx riuscì ad assimilare queste nuove scoperte nella loro ricchezza senza modificare sostanzialmente il suo approccio di fondo, sviluppato nel corso della sua vita. Nei suoi Quaderni Etnologici, l’attenzione si concentra spesso sulle relazioni comunitarie. Ventisette passaggi tratti da Ancient Society di Morgan, riguardanti la proprietà comunitaria, l’edilizia abitativa e la gestione della terra, sono evidenziati da Marx con righe parallele tracciate a margine o con brevi annotazioni..63 Tuttavia, in questo contesto viene posta molta più enfasi, rispetto ai lavori precedenti di Marx, sulle relazioni basate sulla parentela e sul genere, in quanto modellavano queste comunità. Marx rimase particolarmente colpito dagli studi di Morgan sugli Haudenosaunee, chiamati Confederazione Irochese dai francesi e Lega delle Cinque Nazioni dagli inglesi, che rappresentavano una società arcaica basata sul clan (gens). “Tutti i membri della gens irochese,” scrisse Marx, attingendo da Morgan, erano “personalmente liberi, vincolati a difendere la libertà reciproca.”64 Gli Haudenosaunee costruivano grandi “longhouse” (case lunghe) che ospitavano più famiglie. Le longhouse furono descritte da Morgan nel suo Houses and House-Life of the American Aborigines (1881) come “abbastanza grandi da accogliere cinque, dieci, venti famiglie, e ciascun nucleo domestico praticava il comunismo nella vita quotidiana.” Nelle parole di Morgan, come riportate e sottolineate da Marx: “Essa (un livello superiore di organizzazione sociale) sarà una rinascita, in forma più elevata, della libertà, uguaglianza e fraternità delle antiche gentes [società comunitarie tradizionali].”66

La concezione di Marx della proprietà come originata dall’appropriazione della natura eliminava il mito dei popoli senza proprietà, spesso utilizzato per giustificare l’espropriazione delle terre da parte dei colonizzatori europei. Nei suoi estratti annotati dall’opera di Kovalevsky La proprietà fondiaria comunitaria, riguardo all’Algeria, Marx (tramite Kovalevsky) osservava che “secoli di dominio arabo, turco e infine francese, ad eccezione del periodo più recente… non riuscirono a smantellare l’organizzazione consanguinea [basata sulla parentela], né i principi di indivisibilità e inalienabilità della proprietà fondiaria.”67 Eppure, solo una rivolta poteva garantire un duraturo sistema di proprietà terriera comunitaria. Dopo due mesi trascorsi ad Algeri nel 1882 per motivi di salute, Marx arrivò ad affermare che gli algerini “andranno in rovina SENZA UN MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO”.68 Allo stesso modo, attraverso i suoi estratti da Kovalevsky, egli prestò particolare attenzione al “saccheggio della proprietà comunitaria e privata dei contadini” in India da parte degli inglesi..69

A causa della cattiva salute, Marx non fu in grado, negli ultimi anni prima della sua morte nel 1883, di sviluppare un trattato — come chiaramente aveva intenzione — basato sui suoi Quaderni etnologici. Tuttavia, Engels cercò di portare avanti le scoperte etnologiche di Marx, tramite Morgan, Maurer e altri, nella sua opera L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884), scritta nell’anno successivo alla morte di Marx, così come in Il Marchio (1882), che Marx lesse e commentò prima della pubblicazione. L’analisi di Engels era profondamente radicata nell’esame delle relazioni di parentela e di genere, in particolare del gens (clan) così come si manifestava nelle diverse culture. Ovunque — negli Irochesi del Nord America, negli Inca del Perù, nelle comunità di villaggio dell’India e di Giava, nella obshchina russa, nei clan celtici in Europa, nell’antichità greca e nel Marchio germanico — vi erano indicazioni, sosteneva, di grandi comunità domestiche, vita comune, proprietà fondiaria comune, coltivazione comune e lavoro cooperativo, con variazioni nel tempo e nel luogo. Aspetti di queste relazioni comunitarie arcaiche erano evidenti nella fratria greca antica e nella gens romana.70 “La comunità domestica patriarcale,” dichiarò.

La “comunità domestica patriarcale” — dichiarò — era diffusa, se non universale, come fase intermedia tra la famiglia comunistica basata sul diritto materno e la moderna famiglia isolata… Le questioni se la loro unità economica fosse la gens, la comunità domestica, o un gruppo intermedio di parentela comunistica, oppure se tutte e tre queste forme coesistessero a seconda delle condizioni fondiarie, rimarranno oggetto di controversia ancora per molto tempo. Ma Kovalevsky sostiene che le condizioni descritte da Tacito presuppongono non la Mark o la comunità di villaggio, bensì la comunità domestica; solo quest’ultima si sviluppò, molto più tardi, nella comunità di villaggio, a causa della crescita demografica.71

Nella concezione di Engels, nelle più antiche e tradizionali società tribali di cacciatori-raccoglitori, dove non esisteva ancora un surplus economico, l’ordine sociale era centrato più sulla riproduzione delle relazioni di parentela e della popolazione che sulla produzione in senso economico.72

La questione contemporanea della comune russa, che ha avuto un ruolo importante nel pensiero di Marx ed Engels, emerse per la prima volta tra il 1847 e il 1852. Fu in quel periodo che il barone prussiano von Haxthausen-Abbenburg (un aristocratico tedesco, funzionario e sostenitore della servitù della gleba) scrisse uno studio sulle relazioni agrarie russe con il sostegno dello zar, nel quale rivelò l’esistenza diffusa del mir russo (obshchina). Questa scoperta avrebbe avuto un grande impatto nello sviluppo del populismo russo. In un primo momento, Marx non vide nulla di particolarmente distintivo nel mir russo, considerandolo semplicemente una manifestazione di un ordine comunitario arcaico in decadenza. Tuttavia, dopo aver ricevuto nel 1869 una copia de La condizione della classe operaia in Russia del giovane studioso russo V. V. Bervi (Flerovskii), Marx si dedicò con estrema urgenza all’apprendimento della lingua russa, che riuscì a leggere in meno di un anno. Questo lo portò a uno studio intensivo del populismo russo, che finì per cambiare la sua visione sull’importanza contemporanea del mir..73

La visione sviluppata da Marx sulla comune russa si manifestò nelle bozze del 1881 della sua lettera a Vera Zasulich e nella prefazione del 1882 (scritta insieme a Engels) alla seconda edizione russa del Manifesto del Partito Comunista. Nelle sue lettere preparatorie a Zasulich, Marx sosteneva che il mir russo rappresentava la forma più evoluta di agricoltura comunitaria, tracce della quale erano state rinvenute “ovunque” in Europa e in alcune parti dell’Asia. Le forme precedenti, come quelle delle tribù germaniche al tempo di Cesare, erano basate sulla parentela e caratterizzate da vita comunitaria e coltivazione collettiva. Al contrario, la successiva comune agraria del Mark germanico, descritta da Tacito più di un secolo dopo, combinava la proprietà comunitaria del villaggio — inclusa la redistribuzione periodica della terra — con abitazioni e coltivazioni individuali. La comune agraria mostrava un “dualismo” nelle forme di proprietà, che era al tempo stesso fonte di maggiore vitalità e segno di una dissoluzione imminente, con l’emergere graduale della proprietà privata, in cui la proprietà comunitaria residua sarebbe diventata solo un’appendice..74

Tutte le forme sopravvissute nella linea dell’agricoltura comunitaria, presenti in Russia e in Asia nel XIX secolo (in Russia, libera dalla forza distorsiva della colonizzazione esterna), mostravano le stesse caratteristiche fondamentali e il medesimo “dualismo” della comune agraria. Ovunque il comunismo agrario fosse sopravvissuto, ciò era dovuto alla sua esistenza come “microcosmo localizzato” sottoposto a “un dispotismo più o meno centralizzato al di sopra della comune”. Tutto ciò sollevava la questione se la comune russa, o mir, potesse costituire la base per lo sviluppo di una nuova società comunista. La risposta provvisoria di Marx fu che, considerando: (1) la base non parentale della comune russa; (2) la sua “contemporaneità”, che le permetteva di incorporare alcuni dei “risultati positivi del sistema capitalistico senza doverne subire il duro tributo”; e (3) la sua sopravvivenza su scala nazionale, essa poteva plausibilmente essere il nucleo di una società comunitaria di nuova concezione, fondata sul lavoro cooperativo. La crisi della società capitalistica contemporanea poteva essa stessa favorire “il ritorno delle società moderne a una forma superiore di proprietà collettiva ‘arcaica’ dei mezzi di produzione”. Ma affinché ciò accadesse, sarebbe stata necessaria una rivoluzione che si appoggiasse ai movimenti socialisti contemporanei.75

Marx ed Engels conclusero la loro prefazione alla seconda edizione russa del Manifesto del Partito Comunista con queste parole: “Se la rivoluzione russa diventa il segnale per la rivoluzione proletaria in Occidente, in modo che le due si completino a vicenda, allora la proprietà fondiaria comunitaria dei contadini russi può servire come punto di partenza per uno sviluppo comunista.”76

La società comunitaria come passato e futuro

Marx ha indicato più volte nel corso della sua vita che la sopravvivenza di residui di proprietà fondiaria comunitaria nella regione intorno a Treviri, dove era cresciuto, gli aveva lasciato una profonda impressione. Aveva discusso di queste relazioni arcaiche di proprietà da giovane con suo padre, che era avvocato. La sua traduzione della Germania di Tacito, completata quando Marx era ancora adolescente, rafforzò senza dubbio queste idee. I suoi primi studi sulla polis greca e sulla filosofia attraverso Aristotele ed Epicuro (entrambi i quali hanno affrontato la natura della comunità ); il suo impegno come redattore della Rheinische Zeitung sulla questione della perdita da parte dei contadini dei diritti consuetudinari sulle foreste; e la sua adozione della nozione hegeliana di appropriazione/proprietà come fondamento della società, contribuirono tutti a questa prospettiva. La proprietà, per Marx, scrivendo nel 1842, nasceva dal “potere elementare della natura” e dal lavoro umano. Questo era visibile nella Germania del suo tempo nel diritto consuetudinario/comunitario di raccogliere legna dalla foresta, in linea con tutte le forme di appropriazione fondamentali per l’esistenza umana.77

L’approccio di Marx alla questione del comunismo, fin dall’inizio, fu materialista e storico, ponendo l’accento sulle origini sociali dell’essere umano, in contrasto con le visioni individualiste, idealiste, romantiche e utopistiche comuni tra i socialisti francesi e i giovani hegeliani tedeschi. Fin dai suoi primi scritti, Marx ha sottolineato la base naturale e comunitaria dell’appropriazione umana dalla natura e lo sviluppo sociale delle relazioni di proprietà come prodotto del lavoro umano, evidente in tutta la storia dell’umanità, contrapponendolo alle relazioni alienate della proprietà privata capitalistica. Questo implicava una visione profondamente antropologica e una teoria del lavoro come fondamento della cultura.78 L’ontologia sociale che ne derivava costituì il fondamento dell’intera critica di Marx all’economia politica. L’idea che il passato offrisse indizi sul futuro dell’umanità, e la possibilità di trascendere il presente attraverso la creazione di una società comunitaria superiore, ha guidato il pensiero di Marx fin quasi dall’inizio.

A causa dell’importanza fondamentale della società comunitaria nel pensiero di Marx, egli attinse a tutte le informazioni storiche e antropologiche disponibili al suo tempo per esplorare le varie forme di proprietà e governo comunitario, includendo sia le comuni agrarie che le strutture comunitarie urbane. Approfondì la storia greca e romana, i resoconti degli amministratori coloniali e le prime opere etnologiche. Questa ricerca fu portata avanti da altri marxisti classici, in particolare Rosa Luxemburg.79 In definitiva, Marx era convinto che il passato fungesse da mediazione tra il presente e il futuro. La base naturale, spontaneamente comunitaria, dell’umanità sarebbe risorta in una forma superiore di società, non solo in Europa, ma in tutto il mondo attraverso la rivoluzione. “Nessuna interpretazione errata di Marx,” scrisse Hobsbawm, “è più grottesca di quella che suggerisce che egli si aspettasse una rivoluzione esclusivamente dai paesi industriali avanzati dell’Occidente.”80

Nel nostro tempo, le rivoluzioni in Cina, con le sue prime e vivaci Comuni popolari e il suo attuale sistema di proprietà collettiva della terra nelle comunità, e in Venezuela, con le sue diverse comuni e la sua lotta per creare uno “stato comunitario”, dimostrano che il futuro umano, se deve essercene uno, richiede la creazione di una società comunitaria, una società di, da e per i produttori associati.81

Note

Avvertenza: molti titoli delle citazioni sono stati tradotti in italiano. Per consultare l’apparato bibliografico originale andare all’articolo direttamente sulla Monthly Review MR 2025/03

  1.  R. N. Berki, Intuizione e visione: il problema del comunismo nel pensiero di Marx (Londra: J. M. Dent, 1983), 1.
  2.  Paresh Chattopadhyay, Il modo di produzione associato di Marx (Londra: Palgrave Macmillan, 2016).
  3.  Su Marx ed Epicuro, vedi John Bellamy Foster, Breaking the Bonds of Fate: Epicurus and Marx (di prossima pubblicazione, Monthly Review Press).
  4.  Karl Marx e Frederick Engels, Opere raccolte (New York: International Publishers, 1975), vol. 1, 215-23; Moses Hess, La storia sacra dell’umanità e altri scritti (Cambridge: Cambridge University Press, 2004); David McLellan, Karl Marx: la sua vita e il suo pensiero (New York: Harper and Row, 1973), 47-56.
  5.  Moses Hess, “Discorso sul comunismo, Elberfeld, 15 febbraio 1845“, Marxists Internet Archive, marxists.org; Lucrezio 5.1136; Aristotele, Politica I.1253a; Patricia Springborg, “Marx, la democrazia e l’antica polis”, Filosofia critica 1, n. 1 (1984): 52. Riferendosi all’uomo come a un “animale politico”, Aristotele intendeva un membro di una polis, cioè di una società, in particolare di una città.
  6.  Jean-Jacques Rousseau, I “discorsi” e altri primi scritti politici (Cambridge: Cambridge University Press, 2019), 165; Pierre-Joseph Proudhon, Che cos’è la proprietà? (Cambridge: Cambridge University Press, 1993), 13-16, 70.
  7.  G. W. F. Hegel, La filosofia del diritto (Oxford: Oxford University Press, 1952), 41-42. Sulla proprietà come appropriazione nell’economia politica classica (come in John Locke), vedi C. B. Macpherson, The Political Theory of Possessive Individualism (Oxford: Oxford University Press, 1962), 194-262; John Locke, Due trattati di governo (Cambridge: Cambridge University Press, 1988), 297-301.
  8.  Karl Marx, Il Capitale, vol. 1 (Londra: Penguin, 1976), 647.
  9.  Marx, Opere complete, vol. 1, 17.
  10.  Marx ed Engels, Opere complete, vol. 26, 168.
  11.  Karl Marx e Frederick Engels, Corrispondenza selezionata (Mosca: Progress Publishers, 1975), 189; Karl Marx, “Corrispondenza Marx-Zasulich: lettere e bozze”, in Il tardo Marx e la via russa, a cura di Teodor Shanin (New York: Monthly Review Press, 1983), 118; Kevin B. Anderson, Le strade rivoluzionarie del tardo Marx (Londra: Verso, 2025), 70. Sul marco tedesco, vedi Frederick Engels, “The Mark”, in Engels, Socialism: Utopian and Scientific (New York: International Publishers, 1989), 77-93.
  12.  Marx ed Engels, Opere complete, vol. 1, 254; Daniel Bensaïd, I diseredati: i dibattiti di Karl Marx sul furto di legna e i diritti dei poveri (Minneapolis: University of Minnesota Press, 2021). Su tali diritti consuetudinari nel contesto inglese nel XVIII secolo, si veda E. P. Thompson, Customs in Common (New York: The New Press, 1993).
  13.  Eric Hobsbawm, Introduzione a Karl Marx, Formazioni economiche pre-capitaliste (New York: International Publishers, 1964), 21.
  14.  Nota dell’editore, in Marx ed Engels, Opere complete, vol. 35, 773. Marx si affidò nel Capitale a opere come George Campbell, Modern India: A Sketch of the System of Civil Government (Londra: John Murray, 1852) e T. Stamford Raffles, The History of Java (Londra: John Murray, 1817).
  15.  Thomas R. Trautmann, Lewis Henry Morgan e l’invenzione della parentela (Berkeley: University of California Press, 1987), 3.
  16.  Marx ed Engels, Opere complete, vol. 29, 461.
  17.  Karl Marx, Grundrisse (Londra: Penguin, 1973), 495; Marx ed Engels, Opere complete, vol. 5, 32-33. La questione del “diritto materno” o della società matrilineare tradizionale è stata introdotta solo più tardi da Engels in L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, basato principalmente su La società antica di Lewis Henry Morgan e sui Quaderni etnologici di Marx.
  18.  Karl Marx, Teorie del plusvalore (Mosca: Progress Publishers, 1975), parte 3, 422-23; Frederick Engels, “Supplemento al terzo volume del Capitale”, in Karl Marx, Il Capitale, vol. 3 (Londra: Penguin, 1981), 1038; Marx ed Engels, Opere complete, vol. 47, 103. Engels estese il concetto di “comunismo primitivo” ai precursori dell’associazione del marco germanico, così come alle comunità di villaggio in India e alla comune russa o mir (obshchina) ai suoi tempi. L’inclusione dei precursori del marco tedesco in questo contesto fu probabilmente ciò che spiegò la sua sostituzione molto provvisoria del termine “comunismo primitivo” (nella sua appendice al Capitale e in un paio di lettere) al modo asiatico come caratterizzante il modo di produzione di base in tali società. Engels si astenne del tutto dall’alludere alle precedenti società di caccia e raccolta, come “comunismo primitivo”, vedendo queste società come determinate in gran parte da relazioni di parentela piuttosto che dall’economia. Ciononostante, né Marx né Engels avevano alcun dubbio sul carattere di clan comunitari di queste società precedenti, che fu rafforzato negli anni ’70 e ’80 dell’Ottocento dai loro scritti antropologici: i Quaderni etnologici di Marx e Le origini della famiglia, della proprietà privata e dello Stato di Engels. Vedi Stephen P. Dunn, “La posizione dell’ordine sociale primitivo-comunitario nella teoria sovietico-marxista della storia”, in Verso un’antropologia marxista, a cura di Stanley Diamond (Berlino: De Gruyter, 2011), 175, 181; Moses Finley, “Ancient Society”, in A Dictionary of Marxist Thought, a cura di Tom Bottomore et al. (Oxford: Blackwell, 1983), 20.
  19.  Marx ed Engels, Opere complete, vol. 5, 33.
  20.  Karl Marx, Quaderni etnologici, a cura di Lawrence Krader (Assen, Paesi Bassi: Van Gorcum, 1974), 292; Marx, Grundrisse, 474-75, 477, 483.
  21.  Springborg, “Marx, la democrazia e l’antica polis”, 52-53.
  22.  Karl Marx, Early Writings (Londra: Penguin, 1974), 90; Hegel, La filosofia del diritto, 183; Marx, Il Capitale, vol. 3, 970; Karl Polanyi, Economie primitive, arcaiche e moderne (Boston: Beacon Press, 1971), 82-83.
  23.  Marx, Grundrisse, 103, 491, 495-96; Marx, Quaderni etnologici, 213; Marx ed Engels, Opere complete, vol. 5, 332; Marx, Il Capitale, vol. 3, 970; Springborg, “Marx, la democrazia e l’antica polis”, 59; Finley, “Società antica”, 20. Come osserva Samir Amin, la schiavitù “non è praticamente da nessuna parte l’origine della differenziazione di classe”. Samir Amin, Sviluppo ineguale: un saggio sulle formazioni sociali del capitalismo periferico (New York: Monthly Review Press, 1976), 20. La monetazione apparve in Cina all’incirca nello stesso periodo della Lidia (o prima). Vedi “Monetazione cinese“, American Numismatic Association, n.d., money.org
  24.  Marx, Il Capitale, vol. 3, 245; Perry Anderson, Passaggi dall’antichità al feudalesimo (Londra: New Left Books, 1974), 18, 35. La grande opera di G. E. M. de Ste. Croix, The Class Struggle in the Ancient Greek World (Londra: Duckworth, 1981) può essere vista come allineata con Anderson in questo senso. Al contrario, si veda Ellen Meiksins Wood, Peasant-Citizen and Slave (London: Verso, 1989), 42-80. Wood sosteneva che, a parte il servizio domestico e il lavoro nelle miniere d’argento, due aree in cui predominava il lavoro degli schiavi, gli schiavi rimasti nell’antica Atene erano “dispersi attraverso la divisione del lavoro”, comprese aree come l’agricoltura e il “servizio civile inferiore”, come gli “arcieri sciti che rappresentavano la cosa più vicina a una forza di polizia ateniese”. Wood, contadino e schiavo, 79.
  25.  Marx, Grundrisse, 245, 491, 495-96; Marx, Quaderni etnologici, 213; Marx ed Engels, Opere complete, vol. 5, 332; Springborg, “Marx, la democrazia e l’antica polis”, 59; Finley, “Società antica”, 20. Sulla formazione tribale in Attica, vedi George Thomson, The Prehistoric Aegean: Studies in Ancient Greek Society (Londra: Lawrence and Wishart, 1978), 104-9.
  26.  Questo è stato ora stabilito in grande dettaglio negli studi classici contemporanei. Vedi Richard Seaford, Money and the Early Greek Mind: Homer, Philosophy, Tragedy (Cambridge: Cambridge University Press, 2004), 1–20, 125–36, 147–72.
  27.  Marx, Grundrisse, 540.
  28.  Marx ed Engels, Opere complete, vol. 4, 31-32.
  29.  Marx, Grundrisse, 87-88, 488-89.
  30.  Marx, Grundrisse, 483, 495. In relazione a Giava, Marx fu influenzato dalla Storia di Giava di Thomas Stamford Raffles del 1817. Marx, Il Capitale, vol. 1, 417, 916; Raffles, Storia di Giava.
  31.  Tacito, Germania, 26; traduzione come si trova in Tacito, L’Agricola e la Germania, trad. H. Mattingly e S. A. Handford (Londra: Penguin, 1970), 122-23.
  32.  Marx, Grundrisse, 473-75.
  33.  Marx, Grundrisse, 473-75; Springborg, “Marx, la democrazia e l’antica polis”, 56.
  34.  Marx, Grundrisse, 102-3, 473, 490; Karl Marx, Il Capitale, vol. 2 (Londra: Penguin, 1978), 196, 226; Marx, Il Capitale, vol. 3, 1017; William H. Prescott, Storia della conquista del Messico/Storia della conquista del Perù (New York: Modern Library, n.d.; originariamente pubblicato separatamente nel 1843/1847), 756-57.
  35.  Marx, Teorie del plusvalore, Parte 3, 422-23; Karl Marx, Un contributo alla critica dell’economia politica (Mosca: Progress Publishers, 1970), 21, 33; Marx, Grundrisse, 490-95.
  36.  Hobsbawm, Introduzione a Marx, Formazioni economiche precapitaliste, 37-38.
  37.  Il concetto di Marx del “modo di produzione asiatico”, termine che egli non usava quasi mai direttamente (anche se faceva spesso riferimento alle comunità rurali asiatiche), aveva il pregio di andare contro ogni teoria unilineare dello sviluppo, sollevando la questione di percorsi alternativi. Lo vedeva come la più antica forma di proprietà comunale, che, come la relativa forma slava, era notevole per la sua tenacia. Alla fine concluse che la comune russa (così come forse alcune comunità rurali asiatiche) avrebbe potuto plausibilmente essere la base degli sviluppi rivoluzionari se integrata con il moderno pensiero comunista, possibilmente costeggiando il percorso capitalista. Vedi Marx, Teorie del plusvalore, parte 3, 422-23; Lawrence Krader, Il modo asiatico di produzione: fonti, sviluppo e critica negli scritti di Karl Marx (Assen, Paesi Bassi: Van Gorcum and Co., 1975), 5-7, 183; John Bellamy Foster e Hannah Holleman, “Weber e l’ambiente”, American Journal of Sociology 117, n. 6 (2012): 1640-41; Bryan S. Turner, “Società asiatica”, in Un dizionario del pensiero marxista, 32-36; Karl Wittfogel, “Geopolitica, materialismo geografico e marxismo”, Antipode 17, n. 1 (1985): 21-71.
  38.  Marx, Grundrisse, 470-73; Marx, Teorie del plusvalore, Parte 3, 422; Marx, Formazioni economiche precapitaliste, 69-70, 88; Marx ed Engels, Opere complete, vol. 25, 149-50.
  39.  È un errore sostenere, come fa Kevin Anderson, che Marx fosse principalmente interessato alle “formazioni sociali comunitarie” nel loro insieme, e che la “proprietà comune” fosse “una categoria troppo superficiale per le sue indagini”. Piuttosto, Marx ha sempre basato la sua analisi in questo campo sulla proprietà comune, che spesso si trova in forme che erano in contraddizione con la più ampia formazione tributaria. Né ha senso affermare che molte società tradizionali “mancano molto in termini di proprietà”, dal momento che la proprietà stessa per Marx (e Hegel) è semplicemente derivata da forme di appropriazione che stanno alla base dell’esistenza materiale umana in tutte le sue forme. Quindi, nessuna società può essere priva di proprietà. Anderson, Le strade rivoluzionarie del tardo Marx, 8-19.
  40.  Marx, Grundrisse, 171-72.
  41.  Marx, Il Capitale, vol. 1, 171-72.
  42.  Marx ed Engels, Opere complete, vol. 6, 127; István Mészáros, Beyond Capital (New York: Monthly Review Press, 1995), 765.
  43.  Marx, Grundrisse, 172-73; Mészáros, Oltre il Capitale, 749. La nozione di “carcassa del tempo” ha qui a che fare con la concezione di Epicuro del tempo come l’accidente degli accidenti, “la morte l’immortale”, cancellando tutte le caratteristiche qualitative. Marx, Opere complete, vol. 1, 63-65; Marx, Opere complete, vol. 6, 166.
  44.  Marx ed Engels, Opere complete, vol. 42, 515; Karl Marx, Testi sul metodo, a cura di Terrell Carver (Oxford: Basil Blackwell, 1975), 195.
  45.  Marx, Il Capitale, vol. 1, 451-53.
  46.  Sul concetto di “economia naturale” in Marx e Rosa Luxemburg, si veda Scott Cook, Understanding Commodity Economies (New York: Rowman and Littlefield, 2004), 114, 130-31, 151; Rosa Luxemburg, L’accumulazione del capitale (New York: Monthly Review Press, 1951), 368-85.
  47.  Amin, Sviluppo ineguale, 13–20.
  48.  Peter Linebaugh, Il manifesto della Magna Carta (Berkeley: University of California Press, 2008), 44-45.
  49.  Jan de Vries, L’economia dell’Europa in un’epoca di crisi, 1600-1750 (Cambridge: Cambridge University Press, 1976), 43; Christopher Dyer, “L’economia e la società”, in Oxford Illustrated History of Medieval England, a cura di Nigel Saul (Oxford: Oxford University Press, 1997), 143-46; Thomas Edward Scrutton, Commons and Common Fields (Cambridge: Cambridge University Press, 1887), 1; John Bellamy Foster, Brett Clark e Hannah Holleman, “Marx e i beni comuni”, Social Research 88, n. 1 (primavera 2021): 1–5.
  50.  Marx, Il Capitale, vol. 1, 889. Vedi Ian Angus, La guerra contro i beni comuni: espropriazione e resistenza nella creazione del capitalismo (New York: Monthly Review Press, 2023).
  51.  Si veda Jan Dumolyn e Jelle Haemers, Communes and Conflict: Urban Rebellion in Late Medieval Flanders, a cura di Andrew Murray e Joannes van den Maagdenberg (Boston: Brill, 2023), 229–49.
  52.  Mitchell Abidor, “La Comune di Parigi: il mito diventa materiale“, Tocqueville21, 11 maggio 2021, tocqueville21.com.
  53.  Mathijs van de Sande e Gaard Kets, “Dalla Comune al Comunitarismo“, Resilience, 22 marzo 2021, resilience.org.
  54.  Karl Marx e Frederick Engels, Scritti sulla Comune di Parigi, a cura di Hal Draper (New York: Monthly Review Press, 1971), 76-81.
  55.  Marx ed Engels, Scritti sulla Comune di Parigi, 75; Frederick Engels in Karl Marx, Critica del programma di Gotha (New York: International Publishers, 1938), 31.
  56.  Marx ed Engels, Opere complete, vol. 25, 247-48, 267-68; V. I. Lenin, Lo Stato e la rivoluzione (Mosca: Progress Publishers, 1969), 16-27. Sull’intera questione dell'”estinzione dello Stato”, vedi Mészáros, Oltre il Capitale, 460-95.
  57.  Marx, Critica del programma di Gotha, 5-10, 31; Karl Marx e Frederick Engels, Il manifesto del partito comunista (New York: Monthly Review Press, 1964), 41.
  58.  Marx, Il Capitale, vol. 3, 959.
  59.  Marx, Scritti antichi, 348.
  60.  Trautmann, Lewis Henry Morgan e l’invenzione della parentela, 3; Lewis Henry Morgan, Ancient Society, a cura di Eleanor Burke Leacock (New York: Merdian Books, 1963); Prefazione a John Bellamy Foster, Marx’s Ecology (New York: Monthly Review Press, 2000), 212-13.
  61.  Karl Marx, “Estratti da M. M. Kovalevsky”, in Krader, Il modo di produzione asiatico, 346-414.
  62.  Karl Marx a Frederick Engels, 25 marzo 1868, in Marx ed Engels, Corrispondenza selezionata, 188-89.
  63.  Lawrence Krader, Introduzione a Marx, Quaderni etnologici, 28.
  64.  Marx, Quaderni etnologici, 150.
  65.  Lewis Henry Morgan, Case e vite domestiche degli aborigeni americani (Chicago: University of Chicago Press, 1965), 6.
  66.  Marx, Quaderni etnologici, 81, 139; Morgan, Società antica, 562.
  67.  Marx, “Estratti da M. M. Kovalevsky”, 400.
  68.  Karl Marx a Laura Lafargue, 13 aprile 1882, Opere complete, vol. 46, 242; Peter Hudis, “Marx tra i musulmani”, Capitalismo Natura Socialismo 15, n. 4 (2004): 67.
  69.  Marx, “Estratti da M. M. Kovalevsky”, 387. Si veda John Bellamy Foster, Brett Clark e Hannah Holleman, “Marx e gli indigeni“, Monthly Review 71, n. 9 (febbraio 2020): 9–12.
  70.  Marx ed Engels, Opere complete, vol. 26, 167-68, 190-203; Marx ed Engels, Opere complete, vol. 6, 482; Frederick Engels, “Il marchio”, in Frederick Engels, Socialism: Utopian and Scientific (New York: International Publishers, 1989), 77-93. Il “Marchio” di Engels è spesso indicato come un’appendice dell’edizione del 1892 di Socialism: Utopian and Scientific, ma fu inizialmente pubblicato nella prima edizione tedesca di Socialism: Utopian and Scientific nel 1882. Engels lo inviò a Marx prima della pubblicazione chiedendo modifiche suggerite. Sebbene Marx avesse precedentemente preso appunti sul Marchio Teutonico nei suoi Quaderni etnologici basati sulla discussione di Maurer, furono “Il Marco” di Engels e i commenti di Marx a questo riguardo nelle sue bozze di lettere a V. Zasulic che rappresentarono la loro visione più sviluppata, un’area in cui erano in stretto accordo. Marx ed Engels, Corrispondenza scelta, 334.
  71.  Marx ed Engels, Opere complete, vol. 26, 241-42. L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato di Engels è spesso respinta per la sua presunta rigida nozione di “comunismo primitivo”. Così, l’antropologo David Graeber e l’archeologo David Wengrow in The Dawn of Everything usano questo come scusa per respingere l’analisi di Engel, nonostante il fatto che Engels stesso non abbia mai usato il termine “comunismo primitivo” nel suo libro, che è stato importato nel materialismo storico in questo contesto dal marxismo della Seconda e della Terza Internazionale. Né Engels applicò mai il termine “comunismo primitivo” alle società di caccia e raccolta, che egli vedeva attraverso una lente di parentela molto più complessa, pur riconoscendo elementi “comunitari”. Le linee principali dell’argomentazione di Engels, incentrate sulla parentela, la comunità e l’egualitarismo nelle società tradizionali, sono conformi a ciò che l’antropologia in generale ha scoperto da tempo a questo riguardo. Dopo aver imposto a Engels la nozione di una sorta di “comunismo primitivo” assoluto, puro e olistico, Graeber e Wengrow procedono a dichiarare che i rapporti di proprietà erano più “ambigui” di quanto pensasse Engels. Enfatizzano la divisione del lavoro in base al genere, come se ciò invalidasse l’argomento di Engels, ignorando la sua stessa analisi. Tuttavia, l’esistenza di proprietà comunali e di accordi relativamente egualitari nelle società di caccia e raccolta e in molte società successive non deve essere negata. Quindi, gli stessi Graeber e Wengrow puntano a un “comunismo di base” presumibilmente in opposizione all’uso dogmatico (anche se di fatto inesistente) di Engels del “comunismo primitivo” per descrivere le società di caccia e raccolta. David Graeber e David Wengrow, L’alba di tutto: una nuova storia dell’umanità (New York: Farrar, Straus and Giroux, 2021), 47. Per una discussione più dettagliata dell’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato di Engels, sottolineando gli aspetti di parentela-famiglia-genere della sua argomentazione, si veda John Bellamy Foster, The Return of Nature (New York: Monthly Review Press, 2020), 287-96. Sul carattere egualitario delle società di parentela tradizionali e sui loro aspetti collettivi/comunitari, si veda Morton Fried, The Evolution of Political Society: An Essay on Political Anthropology (New York: Random House, 1967); Richard B. Lee, “Riflessioni sul comunismo primitivo”, in Hunters and Gatherers, a cura di Tim Ingold, David Riches e James Woodburn (New York: Berg, 1988), 252-68.
  72.  Marx ed Engels, Opere complete, vol. 26, 131-32; Dunn, “La posizione dell’ordine primitivo-comunitario nella teoria sovietico-marxista della storia”, 180-81.
  73.  Haruki Wada, “Marx e la Russia rivoluzionaria”, in Shanin, Il tardo Marx e la strada russa, 43-45.
  74.  Marx, “Corrispondenza Marx-Zasulich”, 103, 107-9, 118-20.
  75.  Marx, “Corrispondenza Marx-Zasulich”, 110-13, 120-21.
  76.  Karl Marx e Frederick Engels, “Prefazione alla seconda edizione russa del Manifesto del Partito Comunista” (1882), in Il tardo Marx e la via russa, a cura di Shanin, 139.
  77.  Marx ed Engels, Opere complete, vol. 1, 234.
  78.  Charles Woolfson, La teoria del lavoro della cultura: un riesame della teoria delle origini umane di Engels (Londra: Routledge e Kegan Paul, 1982); Marx ed Engels, Opere complete, vol. 25, 452-64.
  79.  Rosa Luxemburg, Complete Works, vol. 1, a cura di Peter Hudis (Londra: Verso, 2014), 146–234.
  80.  Hobsbawm, Introduzione a Marx, Formazioni economiche precapitaliste, 49.
  81.  Sulla Cina, si veda William Hinton, Fanshen: A Documentary of Revolution in a Chinese Village (New York: Monthly Review Press, 2008) e Lu Xinyu, “‘Chinese-Style Modernization’: Revolution and the Worker-Peasant Alliance“, Monthly Review 76, n. 9 (febbraio 2025): 22–41. Sul Venezuela, si veda John Bellamy Foster, “Chávez e lo Stato Comunale“, Monthly Review 66, n. 11 (aprile 2015): 1-17; e Chris Gilbert, Comune o niente!: il movimento comunale venezuelano e il suo progetto socialista (New York: Monthly Review Press, 2023).

Per leggere l’originale MR 2025/03