Attuare la Costituzione, Ricostruire la Sinistra
Intervengo a questa assemblea come esponente del “Coordinamento per la Democrazia Costituzionale” di Firenze.
La nostra associazione è nata come “Comitato per la difesa della Costituzione” nel 1994 in risposta a un appello di Giuseppe Dossetti che, parlando per la prima volta dalla sua clausura, esortava a costituire comitati in tutta Italia per difendere la Costituzione messa sotto attacco dal primo governo Berlusconi. Da allora siamo stati sempre in campo contro gli assalti al progetto politico dei Costituenti, impegnandoci in particolare per il NO nelle campagne referendarie del 2006 (riforma Berlusconi) e del 2016 (riforma Renzi). Collegati in una rete nazionale di comitati, presente in tutte le regioni, operiamo adesso come Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, associazione presieduta dal costituzionalista napoletano Massimo Villone, di cui fanno parte numerosi giuristi, a fianco di una platea di attivisti della più varia formazione. Considero quindi di grande importanza il dibattito promosso da Diritti a Sinistra per mettere a confronto le varie anime della sinistra in vista di un agire comune. Come contributo alla discussione sulle prospettive di una politica di sinistra nel Paese, voglio toccare, dati i tempi ristretti, solo alcuni punti. I primi riguardano il passato, gli ultimi il futuro. Guardando al passato non si può fare a meno di interrogarsi sulle molteplici scissioni della sinistra, e di cercare di individuare gli errori commessi; un esercizio necessario se si vuole evitare di ripeterli. Molti, stamani, hanno evocato le prime e hanno avanzato domande sui secondi. Tutti hanno invocato unità, ma sulla via da percorrere non si è ancora diradata la nebbia.
A parer mio il più grave errore della sinistra è stato quello di abbandonare, assieme al comunismo, l‘avanzatissimo progetto politico di democrazia sociale formulato dai Costituenti. Un errore commesso a partire dagli anni ’80 che ha finito per portare la sinistra all’abbraccio mortale con il neoliberismo di stampo statunitense, lanciato in quegli anni da Ronald Reagan e Margaret Thatcher. Al grido di “meno Stato e più mercato” è stato varato un progetto politico contrapposto a quello dei Costituenti che ha bloccato il processo di attuazione della Costituzione portato avanti negli anni ’70 sull’impulso delle lotte operaie e studentesche, con lo Statuto dei lavoratori, la riforma sanitaria, la democrazia nella scuola, la riforma del diritto di famiglia, la legge Basaglia.
Sulle ali di quello slogan è stata promossa un’idea di società che ha ben poco a vedere con quella delineata nella Costituzione del 1948. Il pensiero neoliberista, infatti, non ha alcun riguardo per il principio di eguaglianza (in particolare quella sostanziale) (art. 3), e vede come fumo negli occhi il principio di solidarietà (art. 2). Tre sono i pilastri portanti di quel progetto politico: le privatizzazioni, l’abbattimento della progressività delle imposte, la demolizione dello Stato sociale. Da decenni stiamo di conseguenza assistendo alla graduale espulsione del pubblico non solo da grandi settori industriali come ad esempio l’acciaio, cosa forse non pregiudizialmente inaccettabile, ma anche da aziende erogatrici di servizi pubblici essenziali, come quelli della fornitura di gas, elettricità e acqua (nonostante il referendum del 2011), che hanno visto i loro prezzi impennarsi costantemente da molti anni a questa parte. Contemporaneamente abbiamo visto scendere le aliquote massime IRPEF dal 72% in vigore negli anni ’70 e fino al 1982, al 43% attuale. E parallelamente abbiamo assistito a un progressivo indebolimento dello Stato sociale che rischia adesso il colpo di grazia con il piano di riarmo appena approvato a livello europeo, su cui il PD non ha saputo andare al di là di qualche distinguo.
La Costituzione antifascista ha avuto in realtà fin dal suo varo i suoi nemici: forze oscure, legate a potentati economici, alle mafie dei colletti bianchi, a gruppi eversivi neofascisti con sponde nei servizi segreti guidati da piani alti delle istituzioni (v. recente sentenza definitiva sulla strage di Bologna), a logge massoniche fra cui spiccava la P2 di Licio Gelli che, con il suo Piano di Rinascita Democratica, aveva accuratamente pianificato il sovvertimento dell’ordine costituzionale, all’occorrenza anche con la forza. Secondo l’ex magistrato di punta della lotta alla mafia, Roberto Scarpinato (Micromega 1, 2024), oggi senatore M5S, la strategia della tensione che ha funestato il paese in quei decenni faceva parte di un piano studiato a tavolino dai soggetti appena elencati, non privi di complicità internazionali, per impedire la piena attuazione della Costituzione dopo i grandi passi avanti compiuti negli anni ’70. È lecito presumere – o almeno congetturare – che la via dell’attuazione della Costituzione avrebbe fatto ulteriori progressi se fosse andato in porto il compromesso storico proposto a suo tempo da Enrico Berlinguer.
E forse non è da escludere – se mi è consentito quello che può apparire come un dietrologico volo pindarico – che qualche dissimulato suggeritore occulto possa aver orientato le BR nella scelta di Moro come bersaglio da colpire. Certamente, sta risultando sempre più plausibile che nell’assassinio di Piersanti Mattarella ci sia stata anche la mano di chi voleva eliminarlo in quanto delfino e possibile successore di Moro su quella via. Con la scomparsa di Moro e poi di Berlinguer, la sinistra archiviò quel progetto inteso ad avvicinarla al governo in collaborazione con le forze che sentiva più prossime del campo avversario, e volle invece imboccare allo stesso fine la via dell’alternanza, sponsorizzata da Bettino Craxi (che non a caso fu il primo a parlare di riforme della Costituzione), e aperta dall’infausto referendum Segni (nel quale votai NO) che introdusse il sistema maggioritario dando il via alla cosiddetta Seconda Repubblica.
Non sarà forse un caso che l’affluenza alle urne da allora ha cominciato a calare, passando dall’83% del 1996 al 64% del 2022. Il miraggio del governo, che le era stato a lungo negato, portò la sinistra a mettere da parte non solo il socialismo ma anche, appunto, la socialdemocrazia, in quella che è stata giustamente definita “un’alternanza senza alternative”, a causa del pensiero unico neoliberista a cui si ispiravano di fatto entrambe le coalizioni. Più volte al governo, il principale partito della sinistra perseguì infatti politiche sostanzialmente neoliberiste accompagnate da scelte politiche miopi, come l’ineffabile modifica del Titolo V che inaugurò la stagione delle riforme costituzionali a colpi di maggioranza, concepita nell’illusione di togliere il terreno sotto i piedi alla Lega, che ora ha dato il destro a Calderoli per il suo disordinato attacco all’unità nazionale e alla parità di diritti dei cittadini. Politiche a volte anche in aperto contrasto con la Costituzione, come avvenne con la sottaciuta partecipazione dell’Italia alla illegale aggressione della NATO alla Serbia.
E giunse persino, il principale partito della sinistra, a emulare la destra orchestrando un vero e proprio attacco alla Costituzione concepito dal suo segretario Matteo Renzi, giunto alla presidenza del consiglio. Come il precedente attacco sferrato dieci anni prima da Berlusconi con la sua proposta di “premierato assoluto” – con cui la proposta Renzi condivideva l’obiettivo di verticalizzazione del sistema tramite il rafforzamento dell’esecutivo – anche questo fu respinto dall’elettorato nel referendum costituzionale. Nell’attuale ascesa della destra illiberale e sostanzialmente neofascista, la sinistra ha dunque grandi responsabilità che non può mancare di riconoscere se vuole riacquistare credibilità nei confronti dell’elettorato che ha perso. Ma soprattutto deve cambiare strada. I nemici della Costituzione sono adesso sul ponte di comando. Le forze politiche attualmente al governo non si riconoscono nella Costituzione scaturita dalla Resistenza. Non la Meloni, per ovvie ragioni.
Non Forza Italia, il cui fondatore era iscritto alla Loggia P2 e ne condivideva gli obiettivi eversivi; non certo la Lega nata sull’onda del razzismo e la discriminazione dell’altro. Gli attacchi alla Costituzione sono infatti partiti subito per culminare nel progetto Calderoli di Autonomia differenziata, severamente colpito dalla Consulta, nell’incredibile decreto sicurezza che calpesta fondamentali diritti di libertà, nella riforma dell’ordinamento giudiziario che attenta all’indipendenza della magistratura, e infine nel progetto del premierato che intervenendo su solo pochi articoli, stravolge completamente l’architettura costituzionale disegnata dai Costituenti. Per una sinistra alla ricerca di una proposta politica valida, di “un’offerta politica di qualità”, come invocato da alcuni, capace di coagulare le sue componenti e di smuovere l’elettorato, le circostanze offrono la risposta su un piatto d’argento.
La proposta politica valida è già scritta, in 139 articoli. L’impegno deve essere quello di attuarli. E non si tratterebbe di un ritorno al passato. Le Costituzioni sono fatte per durare e i nostri Costituenti sono stati bene attenti a formulare disposizioni lungimiranti che lasciano ampio spazio per applicazioni che tengano conto del mutare dei tempi; e con l’articolo 138 hanno anche previsto la possibilità di aggiornarla, ma certo non di demolirla. Oggi siamo giunti a un punto in cui una piena applicazione del dettato costituzionale sarebbe una vera e propria rivoluzione, economica, politica e sociale. L’impegno deve essere quindi quello di unire tutte le energie disponibili per contrastare le torsioni autoritarie in atto e per condurre in modo vincente le due imminenti campagne referendarie in arrivo, quella sulla riforma dell’ordinamento giudiziario e quella sul premierato, (sempre che Meloni non opti per la scorciatoia di una legge elettorale ad hoc). Non ci possiamo permettere di perderle, se non vogliamo che la Costituzione repubblicana figlia della Resistenza sia mandata definitivamente in soffitta.
Nel medio-lungo periodo ci attendono tuttavia altre due battaglie indispensabili per combattere la disaffezione sempre crescente per la politica. La prima è quella per una legge elettorale che dia davvero rappresentanza, come la assicurerebbe a mio giudizio un sistema proporzionale con indicazione delle preferenze che, in presenza di una reale volontà politica, potrebbe essere coniugato con opportuni accorgimenti e senza troppi sacrifici, con l’esigenza di stabilità dei governi. La seconda battaglia è quella per un sistema mediatico davvero indipendente, sottratto al controllo del governo, agli appetiti dei partiti e alle manipolazioni dei potentati politico-economici, nazionali e internazionali. Senza offrire ai cittadini una reale possibilità di essere rappresentati e senza rendere disponibile un’informazione ovviamente plurale ma essenzialmente veritiera, libera da propaganda e relative fake news, non c’è da sperare che l’elettorato smarrito ritorni alle urne e, soprattutto, che esprima un voto consapevole. Infine, in un dibattito franco come quello che propone Diritti a Sinistra, non si può sorvolare su un ultimo punto, oggi il più divisivo. Bisogna guardare la realtà in faccia: la sinistra non potrà mai essere unita finché il PD, nel quadro di una politica di attuazione della Costituzione, non metta al primo posto l’art. 11, cessando di sostenere la partecipazione a una guerra, come sta facendo in Ucraina, e opponendosi ai piani di riarmo della UE e della NATO.
Augusto Cacopardo
Coordinamento per la Democrazia Costituzionale (CDC) – Firenze