Il suicidio della pace

Il report contiene
Presentazione redazionale
Indice del volume
Introduzione dell’autore
Recensione di Enrico Paventi Il Manifesto 27-5-25
Note e principali opere dell’autore

Colombo, Alessandro <1961- >
Il suicidio della pace : perché l’ordine internazionale liberale ha fallito (1989-2024) / Alessandro Colombo. – Milano : Raffaello Cortina, 2025. – XV, 333 p. ; 23 cm. – (Saggi ; 163).) – [ISBN] 978-88-328-5723-8.

Anni 2000. Si è appena dissolta l’URSS, finisce ogni forma di Guerra Fredda, gli USA restano soli a governare il mondo. E’ la fine della storia? a vedere l’oggi sembra proprio di no. Alessandro Colombo, professore di Relazioni Internazionali presso l’Università degli Studi di Milano e responsabile del Programma Relazioni Transatlantiche dell’ISPI, nonché autore di numerosi saggi, ci propone un’attenta disanima della crisi geopolitica tuttora in corso.

Il libro analizza il drammatico mutamento dello scenario internazionale dopo la fine della Guerra fredda, segnato dal ritorno dello spettro di una guerra fra grandi potenze, dalla crisi dell’ordine liberale e dall’erosione dei suoi principi fondativi. Dopo un periodo di apparente stabilità e ottimismo negli anni ’90, l’autore sostiene che il mondo è precipitato in una fase di “multicrisi” globale, segnata da conflitti armati, crescente instabilità e ridefinizione dei rapporti tra l’Occidente e il resto del mondo.

La prima parte del volume ricostruisce l’ambizione originaria dell’ordine internazionale nato dopo il 1989: un progetto di portata storica, cosmopolita nei principi ma spesso escludente nella pratica, sostenuto paradossalmente anche attraverso l’uso della forza. La seconda parte segue la traiettoria della sua progressiva disgregazione, individuando cinque fasi chiave – dall’11 settembre alla pandemia, dalla guerra in Ucraina al nuovo conflitto in Medio Oriente – che hanno condotto al disordine globale attuale.

Il testo invita a superare letture semplificatorie e a riconoscere come la crisi attuale sia radicata nelle contraddizioni del trentennio post-Guerra fredda. Un’opera che sollecita una riflessione critica sul presente e sulla possibilità di un nuovo ordine internazionale.

Le 5 fasi della crisi (2000-2025). La storia continua

1. Radicalizzazione e involuzione del progetto di Nuovo Ordine Mondiale (2001–2003)
  • Innescata dallo choc dell’11 settembre 2001.
  • Si avvia la “guerra globale al terrore”, che comporta un uso crescente e sistematico della forza militare da parte degli Stati Uniti.
  • Culmina con l’invasione anglo-americana dell’Iraq nel 2003, che compromette la legittimità e la reputazione dell’ordine liberale internazionale.

2. Erosione economico-politica dovuta alla crisi del 2007–2008
  • La crisi finanziaria globale mette a nudo le fragilità del modello economico dominante.
  • Emergono gravi conseguenze sociali e politiche, soprattutto in Occidente: disuguaglianze, populismi, sfiducia nelle élite.
  • Si accentua il declino della capacità occidentale di dare forma e stabilità all’ordine globale.

3. Ricomparsa degli sfidanti e ritorno della competizione tra grandi potenze
  • Russia e Cina tornano ad affermare le proprie ambizioni geopolitiche.
  • Si chiude il ciclo dell’unipolarismo statunitense, emergendo un mondo multipolare con crescente instabilità sistemica.
  • Si indebolisce ulteriormente l’idea di un ordine universale condiviso.

4. Crollo dell’ordine internazionale sotto i colpi di tre choc globali successivi
  • Pandemia di Covid-19: evidenzia la fragilità delle istituzioni multilaterali e la competizione tra stati.
  • Guerra in Ucraina (dal 2022): riporta la guerra tra stati nel cuore dell’Europa e mina i principi fondamentali dell’ordine post-1945.
  • Nuova guerra in Medio Oriente: ulteriore destabilizzazione in una regione chiave, con effetti geopolitici a catena.

5. Il mondo fuori controllo (situazione attuale, 2025)
  • Nessun attore ha più la capacità (o la volontà) di ricostruire un nuovo ordine stabile.
  • L’intero sistema di legittimità internazionale (regole, istituzioni, distinzione tra guerre “legittime” e “illegittime”) risulta delegittimato.
  • Si configura una crisi epocale e sistemica, che segna la fine dell’illusione di un ordine mondiale post-storico.

Segue: Indice del volume; Introduzione dell’autore; Recensione di Enrico Paventi Il Manifesto 27-5-25; Note e principali opere dell’autore

INDICE

Introduzione
Parte Prima
Il grande autoinganno del Nuovo Ordine Mondiale (1989 – 2000)
1. Da un secolo all’altro: il trionfo illusorio dell’Occidente liberale
1.1 Tra unità e pluralità. Le eredità divise di un secolo straordinario
1.2 Dai segnali di svolta degli anni Settanta alla grande accelerazione del 1989
1.3 Lo smantellamento della Guerra fredda
1.4 Un “domino” al contrario. L’irresistibile transizione al mercato e alla democrazia
1.5 Sotto la superficie del trionfo. L’onda lunga della deoccidentalizzazione del mondo
2. Le sfide (e le crepe) del dopo Guerra fredda
2.1 La globalizzazione e la nuova crisi dell’ordinamento politico – giuridico moderno
2.2 L’altro lato della globalizzazione. La società mondiale dei rischi
2.3 Una catastrofe geopolitica. La moltiplicazione dei confini nell’epoca del “mondo senza confini”
2.4 La liberazione e la diversificazione delle dinamiche regionali
2.5 Il dopo Guerra fredda e i nodi di tutti i dopoguerra: come trattare il nemico sconfitto e come rilanciare l’alleanza vittoriosa
3. Il Nuovo Ordine Mondiale. Una Costituzione cosmopolitica e ineguale del mondo
3.1 I presupposti politici, istituzionali e culturali del Nuovo Ordine Mondiale
3.2 Il mito della global governance. La politica globale come amministrazione e sorveglianza
3.3 Un ordine gerarchico e discriminante. La società doppia del cosmopolitismo liberale
3.4 Alle frontiere della Cosmopolis. Il “mondo senza confini” come diritto allo sconfinamento
3.5 L’ipocrisia organizzata del superamento della sovranità. Il banco di prova della violenza
4. La protesi militare dell’unità del mondo. La guerra come operazione di polizia
4.1 Lo sfondo. La guerra dopo il Novecento
4.2 L’Occidente e la guerra. Il decennio delle guerre “chirurgiche” e “a costo zero”
4.3 La rilegittimazione dell’uso della forza e la nuova natura dell’inimicizia
4.4 La dissoluzione della guerra in operazione di polizia
5. Il “custode della Costituzione”. L’egemonia riluttante degli Stati Uniti
5.1 I fondamenti dell’egemonia americana
5.2 Le prestazioni dell’egemone
5.3 Gli strumenti dell’egemonia
5.4 Lo spettro del dissanguamento e la trappola dell’unipolarismo
Parte Seconda
La disgregazione inarrestabile dell’ordine internazionale (2001 – 2024)
6. La radicalizzazione e l’involuzione del Nuovo Ordine Mondiale (2001 – 2008)
6.1 L’attacco all’America dell’11 settembre 2001 e l’invenzione della “guerra globale al terrore”
6.2 Una guerra infinita per invito
6.3 Il disastro iracheno come specchio del fallimento
6.4 Le “rivoluzioni colorate” e il deterioramento delle relazioni con Russia e Cina
6.5 Global, no global, new global. Le prime crepe della globalizzazione
7. Il tornante. La crisi economico – finanziaria e l’erosione delle basi politiche, economiche e istituzionali dell’ordine liberale (2008 – 2013)
7.1 Dal fallimento in Iraq alla crisi economico – finanziaria del 2007 – 2008
7.2 Il declino americano (un’altra volta). Barack Obama e il riflusso della vocazione egemonica degli Stati Uniti
7.3 La crisi e la frammentazione del multilateralismo
7.4 La regressione democratica e il malessere delle democrazie
7.5 L’ultimo incanto (e l’ultimo disincanto). Le “primavere arabe” e l’intervento della nato in Libia
8. Il ritorno della competizione tra grandi potenze (2013 – 2020)
8.1 Ritorno a che cosa?
8.2 Il disallineamento tra potere e prestigio e i conflitti sul riconoscimento
8.3 Il disorientamento dell’egemonia americana. Da Barack Obama a Donald Trump
8.4 La rinnovata assertività di Russia e Cina
8.5 Le altre risposte al declino egemonico. Tra vuoti di potere e attivismo delle potenze regionali
8.6 Il declino senza fine dell’Europa
9. Il crollo (2020 – 2024)
9.1 Da uno choc all’altro. La pandemia del Covid – 19, la guerra in Ucraina e la guerra in Medio Oriente
9.2 Una bipolarizzazione (illusoria) del mondo. L’emergere del Sud globale
9.3 Lo smontaggio della globalizzazione
9.4 La rimilitarizzazione delle relazioni internazionali
9.5 Il massacro delle regole
10. Un mondo fuori controllo
10.1 Dopo l’ordine internazionale liberale. Una successione senza successori
10.2 La proliferazione e la diffusione dei conflitti
10.3 La zuffa sulla Costituzione. Uno scontro generale sulla legittimità
10.4 Un problema in più: la vulnerabilità di tutti i principali attori
Conclusioni
Bibliografia


Introduzione

 Per la prima volta dalla fine della Guerra fredda, il mondo e la stessa Europa si trovano a fare i conti con l’eventualità di una guerra aperta fra grandi potenze. È ciò che traspare nelle retoriche politiche di tutti i principali protagonisti dell’attuale contesto internazionale, dagli Stati Uniti alla Cina, alla Russia, a diversi degli stessi paesi europei. È lo stesso che si ritrova, in modo ancora più preoccupante, nella loro riflessione strategico – militare, quale si esprime in tutti i principali documenti ufficiali degli ultimi anni. Ma, soprattutto, il brusco deterioramento delle aspettative sul futuro è ciò che sta già spingendo l’impressionante aumento delle spese militari – un aumento che, dopo avere risparmiato per quasi quarant’anni l’Europa, trova proprio qui uno dei suoi massimi epicentri.

 Il ritorno dello spettro della guerra costituisce una novità assoluta degli ultimissimi anni. Per tutti i primi due decenni del dopo Guerra fredda, sebbene non fossero affatto scomparse dal contesto internazionale, le guerre avevano potuto essere comunemente (e, dietro lo schermo dell’ipocrisia, confortevolmente ) guardate dall’Europa e dall’America come “fatti periferici”, se non come contrassegno per eccellenza della perifericità. Al punto che non aveva tardato ad affermarsi – implicitamente nel dibattito pubblico e più esplicitamente, a volte, sul piano teorico – una rappresentazione dualistica del mondo spaccata tra uno “spazio della pace” e uno “spazio della guerra”, 1 che riservava ai paesi collocati nella parte “buona” del mondo non soltanto l’assicurazione di trovarsi al riparo della violenza, ma anche la decisione su se, quando e come intervenire periodicamente nella parte “cattiva” (per ragioni umanitarie, come nell’interventismo degli anni Novanta; oppure per ragioni strategiche, come all’epoca della “guerra globale al terrore”): ma sempre con la certezza di potersene tornare a casa in caso di difficoltà.

 La fine di questo incanto è soltanto un capitolo – niente affatto inevitabile, sarà bene sottolinearlo da subito – di una crisi molto più comprensiva. Che ha già fatto piazza pulita della condizione di eccezionale sicurezza e benessere della quale avevamo goduto nella fase di passaggio dalle grandi catastrofi del ventesimo secolo alla presunta “fine della storia” del secolo successivo. Rimettendo in discussione la gerarchia del potere e del prestigio dell’epoca, per effetto del riflusso della volontà egemonica degli Stati Uniti, del declino di Europa e Giappone e, in compenso, della crescita di diversi potenziali sfidanti fra i quali, al primo posto, la Cina. Indebolendo quello che, negli anni Novanta, aveva potuto essere celebrato come il principale vanto dell’Ordine Mondiale emergente, il tessuto istituzionale e multilaterale della convivenza internazionale ereditato e aggiornato dal Great Design rooseveltiano di sessant’anni prima. Sottoponendo a contestazione persino i suoi principi basilari di legittimità, per effetto del crescente malessere delle democrazie liberali ma, più in profondità, quale esito di oltre un secolo di “rivolta contro l’Occidente”. 2 E scuotendo, infine, tutto l’insieme dei principi, delle norme e delle regole della convivenza internazionale, a cominciare da quelli sulla legittimità e sui limiti dell’uso della forza che abbiamo visto massacrare in senso proprio negli ultimi due anni.

 Non può stupire, allora, che un rovesciamento così radicale dell’immagine del mondo porti con sé la tentazione di dividere anche la storia degli ultimi quarant’anni in due fasi contrapposte e, quasi per principio, prive di qualunque rapporto fra loro: un’età dell’oro simboleggiata dagli anni Novanta dell’ultimo secolo e un’età, la nostra, di “multicrisi”, se non già di una “guerra mondiale per pezzi”; una fase di “apertura” al mercato, alla democrazia e al futuro (sebbene di un futuro senza futuro, cioè di un presente senza fine) e subito dopo – e senza apparente rapporto con la prima – una fase “regressiva” di sovranismi, nazionalismi e protezionismi; per dirla con le parole dell’economista liberal Paul Krugman, nel suo recente articolo di commiato dal New York Times , un’“età dell’ottimismo” soppiantata, chissà come, da un’“età del risentimento”. 3 A maggior ragione perché, a sostegno di questa dicotomia, sono già fiorite e continuano a fiorire interpretazioni che, nella pretesa di spiegare il passaggio, chiamano in causa la personalità di singoli individui (George W. Bush, Vladimir Putin, Benjamin Netanyahu, Donald Trump), o le immancabili macchinazioni di qualche nemico esterno (il “revisionismo” russo o cinese, la disinformazione, il terrorismo internazionale) o quelle ancora più scontate di qualche “traditore” interno (“putiniani”, “rosso – bruni” o “populisti” di ogni colore).

 Se si vuole comprendere la crisi attuale è necessario, come prima cosa, resistere a questa tentazione. Per riconoscere, tutto all’opposto, che la condizione nella quale ci troviamo nel 2025 è in larghissima parte un prodotto di quella dalla quale eravamo partiti trent’anni fa. Perché il celebratissimo “ottimismo” degli anni Novanta del Novecento nascondeva, in realtà, un repertorio culturalmente e umanamente desolante di inconsapevolezza; perché dietro quella inconsapevolezza si celava già un complesso di incomprensioni e di amnesie sulla storia dell’ultimo e degli ultimi secoli, destinato a permeare e a impoverire la formazione delle classi dirigenti (politiche e intellettuali) di tutti gli anni successivi; e perché, anche in virtù di queste amnesie, l’ottimismo euro – americano di fine Novecento non aveva saputo esprimersi che in un trionfalismo anacronistico, culturalmente narcisistico e politicamente arrogante ma soprattutto, alla lunga, insostenibile. E sulle rovine del quale non hanno tardato a riemergere le vicende autenticamente “epocali” che i grandi interpreti del ventesimo secolo avevano riconosciuto ma, al momento del presunto “trionfo della democrazia liberale”, in pochi avevano più voluto vedere: la trasformazione irreversibile dei rapporti tra Occidente e Mondo, che basta a rendere del tutto irrealistica (e politicamente irresponsabile) l’idea che il primo possa ancora dettare come nell’Ottocento i propri “standard di civiltà” al secondo; e, ancora più a fondo, la crisi non genericamente dello Stato ma di tutti gli standard di legittimità che nello Stato avevano il proprio presupposto e senza il quale sono condannati a perdere senso e plausibilità – a cominciare da quelli che pretenderebbero di dettare ancora una “chiara distinzione” tra la violenza impiegata dagli Stati e quella impiegata da tutti gli altri soggetti.

 Per questa ragione, tutta la prima parte del libro è dedicata all’epoca di fondazione dell’ordine internazionale liberale tra la fine degli anni Ottanta e l’intero decennio successivo. Un ordine internazionale eccezionalmente ambizioso, impegnato a inaugurare nientedimeno che una “nuova era” nella storia delle relazioni internazionali. Improntato paradossalmente a un cosmopolitismo esclusivo, orientato a trasformare la politica internazionale in politica interna su scala planetaria ma, nel frattempo, indisponibile a tenere conto delle preferenze e delle paure di tutti i soggetti non coinvolti nell’impresa. Un ordine “democratico” per antonomasia, ma fondato su un principio quasi costituzionale di discriminazione tra democratici e non democratici. E un ordine dichiaratamente pacifico ma sostenuto, in realtà, da un ricorso quasi ininterrotto all’uso della forza, tanto pervasivo da condurre a una progressiva riabilitazione politica, giuridica e persino etica della guerra (“umanitaria” anch’essa, in accordo con tutto l’impianto retorico del decennio).

 La seconda parte del libro ripercorre, invece, il lento e da un certo momento in poi inarrestabile processo di disgregazione di questo progetto. Un processo che, invece di essere riassunto in un’unica e progressiva parabola discendente, è a propria volta scomposto in cinque diverse fasi, ciascuna delle quali destinata ad aggiungere qualcosa alle fragilità e alle vulnerabilità accumulate nella fase precedente: una fase di radicalizzazione e involuzione del progetto di Nuovo Ordine Mondiale, innescata dallo choc dell’11 settembre 2001, alimentata dal varo della cosiddetta “guerra globale al terrore” e culminata nel disastro politico e reputazionale dell’aggressione anglo – americana all’Iraq; una fase di ulteriore e decisiva erosione dell’ordine, spinta dalla crisi economico – finanziaria del 2007 – 2008 e dalle sue conseguenze politiche, economiche e sociali; una fase, subentrata non casualmente da subito alla precedente, di ricomparsa degli sfidanti e di ripresa della competizione tra grandi potenze; e infine le due fasi più recenti, il crollo rovinoso di ciò che restava dell’ordine internazionale sotto i colpi dei tre choc successivi della pandemia di Covid – 19, della guerra in Ucraina e della nuova guerra in Medio Oriente e, da ultimo, il mondo fuori controllo nel quale ci troviamo oggi.

 Questo processo disgregativo, nel quale si mischiano tanto difetti originari quanto forzature ed errori sopravvenuti più avanti e, in larga misura, evitabili, contiene già dentro di sé quello che meriterebbe di essere riconosciuto come il principale rompicapo politico e teorico dell’ultimo trentennio. Sebbene l’ordine liberale fosse stato edificato, per tutti gli anni Novanta, sulla base di una condizione di superiorità senza precedenti nella storia degli ultimi secoli, gli sono bastati solo dieci anni per precipitare in una crisi rivelatasi molto presto irreversibile. E non per effetto di qualche attacco o campagna di delegittimazione dall’esterno, ma in seguito a due fallimenti maturati pienamente dal proprio interno: la guerra contro l’Iraq nel 2003 e, meno di cinque anni più tardi, la crisi economico – finanziaria del 2007 – 2008. Se si vuole cominciare a fare i conti con il disastro attuale dell’ordine internazionale, bisogna avere la coerenza intellettuale di partire da qui.

 1 . Goldgeier, McFaul, 1992; Singer, Wildavsky, 1993.
 2 . Bull, 1984.
 3 . P. Krugman, “Finding hope in an age of resentment”, in The New York Times , 9 dicembre 2024.

RECENSIONE Enrico Paventi Il Manifesto 27-5-25

La «risposta» all’11 settembre alle radici del caos globale

Saggi «Il suicidio della pace» di Alessandro Colombo indaga l’esito della «war on terror» sulle relazioni internazionali, per Raffaello Cortina Editore

Enrico Paventi

Come è possibile che, a circa quarant’anni dalla conclusione della Guerra fredda, il sistema delle relazioni internazionali sia scosso da tensioni sempre più forti e nel continente europeo sia deflagrato un conflitto armato? E come è accaduto che il mondo sia costretto a fronteggiare persino il rischio di uno scontro diretto tra grandi potenze mentre, nel corso degli ultimi anni, è aumentato a dismisura il numero delle guerre che si stanno combattendo nelle varie regioni del globo?

Secondo Alessandro Colombo, ci troviamo davanti al collasso dell’ordine planetario: si tratta, in altre parole, di una gravissima crisi che ha investito i rapporti diplomatici, le istituzioni internazionali, la globalizzazione economico-finanziaria e le norme fondamentali che regolano la convivenza tra Stati – a cominciare da quelle finalizzate a disciplinare e limitare l’uso della forza, che egli considera «il tessuto istituzionale e multilaterale della convivenza internazionale ereditato e aggiornato dal Great Design roosveltiano di sessant’anni prima».

IN QUESTO SAGGIO, che brilla per lucidità e acume, significativamente intitolato Il suicidio della pace. Perché l’ordine internazionale liberale ha fallito (1989-2024), uscito di recente per i tipi di Raffaello Cortina (pp. 333, euro 25), lo studioso si domanda – anche alla luce delle illusioni e dell’euforia che hanno caratterizzato il periodo successivo alla caduta del Muro di Berlino e alla dissoluzione dell’Unione Sovietica – come sia venuto a crearsi un contesto globale tanto caotico.

A questo riguardo occorre osservare, in primo luogo, che Colombo rinuncia a contrapporre una presunta età dell’oro – pervasa di ottimismo e fiducia reciproca – a un’epoca segnata da sovranismi, nazionalismi e protezionismi, insomma dalla sostanziale regressione nell’animosità e nel risentimento. Egli individua poi le cause principali della situazione attuale in alcune forzature, in qualche amnesia e in un ragguardevole numero di veri e propri errori che l’ordine internazionale liberale avrebbe accumulato fin da tempi ormai quasi remoti, giacché ci si riferisce al periodo compreso tra la fine degli anni Ottanta e gli interi Novanta del secolo scorso.

Fu allora, a suo avviso, che ebbe luogo la formazione dell’ordine internazionale liberale: sostenitore della transizione universale al mercato e alla democrazia, improntato a un cosmopolitismo volto a trasformare la politica estera in interna, incline a discriminare i sistemi autoritari, pacifico ma sostenuto dal ricorso preventivo e pressoché costante all’uso della forza, animato dalla volontà di riabilitare la guerra tanto sotto il profilo giuridico che sotto quello etico, fondato sull’unipolarismo a guida statunitense, tale ordine sarebbe andato ben presto incontro a un inarrestabile processo di disgregazione.

Dall’11 settembre del 2001 all’intervento angloamericano in Iraq, dalla crisi economico-finanziaria del 2007-2008 alle conseguenze della micidiale successione costituita dalla pandemia da Covid-19, dall’invasione russa dell’Ucraina e dalla nuova guerra in Medio Oriente, questi sembrano essere gli snodi che ci hanno portato al mondo fuori controllo nel quale ci troviamo oggi.

UN CONTESTO davvero babelico che, a parere dello studioso, ha avuto origine soprattutto dalla cosiddetta «guerra globale al terrore», a proposito della quale Colombo scrive tra l’altro che «fece letteralmente a pezzi il tessuto giuridico e istituzionale della convivenza internazionale – approntando un sistema di eccezioni, giustificazioni e scusanti destinato a scardinare una volta per tutte la natura della pace e le regole della guerra». Le fondamenta dell’ordine planetario vennero così erose in misura irreparabile.

Un processo a cui, in seguito, avrebbe contribuito sia il deterioramento delle relazioni statunitensi con la Russia e la Cina che l’effetto destabilizzante provocato sugli equilibri interni e internazionali dal già menzionato shock degli anni 2007-2008; intanto, nell’ambito di un quadro globale che va facendosi sempre più complesso, spicca ancora più nettamente il declino dell’Europa.


Note sull’autore

Alessandro Colombo è professore ordinario di Relazioni Internazionali presso l’Università degli Studi di Milano e responsabile del Programma Relazioni Transatlantiche dell’ISPI.

È autore di vari saggi sugli aspetti concettuali delle relazioni internazionali e sulle specificità dei problemi di sicurezza regionale in Europa. I suoi principali libri sono: Report ISPI 2025. L’ora della verità (Ledizioni 2025), L’Europa nell’età dell’insicurezza. Le sfide di un continente fragile (Mondadori 2024), Guerra civile e ordine politico (Laterza 2021), Tempi decisivi. Natura e retorica delle crisi internazionali (Feltrinelli 2014), Crisi della legittimità e ordine internazionale (Guerini Scientifica 2012), La disunità del mondo. Dopo il secolo globale (Feltrinelli 2010), La disunità del mondo. Dopo il secolo globale (Feltrinelli 2009), La guerra ineguale. Pace e violenza nel tramonto della società internazionale (Il Mulino 2006), La lunga alleanza : la Nato tra consolidamento, supremazia e crisi (Franco Angeli 2005)


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