Marisa Nicchi, Pace femminismo dialogo

Sabato 28 giugno 2025, alla Casa del Popolo La Montanina, si è svolto L’INCONTRO A SINISTRA, organizzato da Diritti a Sinistra Firenze. L’intervento di Marisa Nicchi

Prima questione. La supremazia della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti che infiammano il mondo. E’ la guerra, inevitabile, inesorabile, ineluttabile costi quel che costi (minaccia nucleare, fine dell’ umanità e della terra ).

Proprio ieri è stato pubblicato il Global Peace Index Briefing, il rapporto annuale che misura pace, sicurezza e stabilità nel mondo. Nel 2025, riporta una sintesi, «rivela una radicale riorganizzazione dell’ordine globale mai vista dalla Guerra Fredda. Descrive un declino record della pace globale, poiché l’aumento delle morti nei conflitti, l’accelerazione delle tensioni geopolitiche e l’erosione della coesione sociale stanno determinando una “Grande Frammentazione”.

Non a caso il Papa Leone XIV ha dato un’accelerazione sulla scia di Bergoglio nel discorso storico pronunciato in questi giorni: “Come si può continuare a tradire i desideri di pace dei popoli con le false propagande del riarmo, nella vana illusione che la supremazia risolva i problemi anziché alimentare odio e vendetta?

Seconda questione: l’attacco al Diritto internazionale, al Diritto umanitario, ai suoi organismi, alle Corti, proprio in questi giorni ricorrono gli 80 anni dall’approvazione della Carta dell’Onu, anniversario che cade in uno dei momenti più bui e critici. La violazione della Carta è stata fatta nel passato in più circostanze, in più occasioni è stato applicato il doppio standard.

Mentre si condanna, giustamente, la Russia per i crimini commessi, non si fa altrettanto quando è Israele a violare la sovranità di altri paesi con le bombe, come ha fatto a Gaza, in Cisgiordania, in Libano, in Siria, in Yemen e, infine, anche in Iran.

Era già aperto il tema di come rendere effettivo il Diritto internazionale, Luigi Ferraioli lo ha posto con la proposta di una “Costituzione della Terra”.

Oggi, assistiamo ad un salto radicale nel tentato annullamento, spregio delle istituzioni multilaterali, dall’Onu alla Corte penale internazionale, agli strumenti che permettono di risolvere le controversie tra Stati con metodi diplomatici e pacifici.

Al primo posto viene messo l’uso della forza del più potente, della sopraffazione, delle armi: la legittima difesa preventiva invocata da Israele ultimamente per attaccare l’Iran.

A fronte dello sfaldamento dell’intero sistema invece di ripensare una diversa architettura di coesistenza pacifica multilaterale (nuova Helsinki 50 anni), si getta un altro pericoloso fondamento: la sicurezza assicurata dalle armi.

Terza questione. Il tema del riarmo fino ai denti come imperativo per difendere la pace, per avere sicurezza.

E’ il tema di fondo, la scelta dei Paesi Nato a raggiungere in 35 anni il 5% del PIL in difesa e spesa militare. Richiesta di Trump il “nuovo sceriffo”, come dice JD Vance, che svuota le tasche ai suoi sudditi.

Il Corriere della Sera riportava il calcolo della rivista Le Grand Continent, sulla base dei parametri del 2024, per raggiungere il 5% del Pil gli europei dovrebbero spendere 510 miliardi in più all’anno, l’Italia 78 miliardi.

La Germania ha l’ occasione di costruire l’esercito più forte avendo margini di spesa più conveniente secondo le regole che penalizzano Paesi che sono sotto procedura di infrazione, e consentono solo ai Paesi cosiddetti virtuosi di sforare il 3% del deficit per le spese militari, senza conseguenze. Non per niente Giulio Tremonti torna sulla proposta di eurobond per finanziare il riarmo.

Solo Sánchez, ha avuto la schiena dritta e sostiene che rispetterà i nuovi obiettivi in termini di capacità concordati, ma per farlo sarà sufficiente spendere solo il 2,1%. del Pil e per questo è stato minacciato sui dazi.

E’ la questione di fondo. Voci esprimono preoccupazioni, non rivoltosi del sistema, né “anime belle” pacifiste .

Ferruccio De Bortoli sul Corriere scrive: «Sulla carta gli impegni per il riarmo sono giganteschi. Equivalgono di fatto a un Pnrr militare aggiuntivo. Saremo dunque capaci, eventualmente, di spenderli? (…). Chi è contro il riarmo esprime una posizione legittima. Non è un nemico della Patria. Vanno spiegate le ragioni della sicurezza nazionale che un governo responsabile non può sottacere, né dissimulare. In un confronto aperto e sincero, si dovrebbe anche ammettere che difficilmente non si sacrificheranno investimenti di altra natura. Si pagherà un prezzo, inevitabile. Escluderlo è una presa in giro»

Carlo Cottarelli, esperto di spesa pubblica, ex FMI, e oggi in Cattolica, intervistato dal Fatto sostiene: «Non considero la spesa militare immorale. Occorre difendersi e la deterrenza è importante. Ma in questa e in altre aree di spesa pubblica è sbagliato (se vogliamo immorale) spendere più di quanto necessario e, da quello che ho visto, non sono convinto che spendere il 3,5% del Pil per la Difesa sia necessario in Italia».

Il Vescovo Mariano Crociata della Conferenza episcopale europea dice ad Avvenire: «Il necessario investimento in difesa deve essere perseguito a determinate condizioni, e cioè in funzione di deterrenza e non di belligeranza, e soprattutto non deve diventare il nuovo orizzonte ideale e politico della Ue, ma collocarsi dentro una strategia che persegua nelle nuove condizioni l’Unione come progetto di pace. LEuropa dovrebbe avere un ruolo determinante nella costruzione di una nuova architettura mondiale di pace, radicata nel multilateralismo e nel rispetto del diritto internazionale».

Quarta questione. La definirei “per Gaza e per noi” come ha ben scritto Ida Dominjanni

La politica dello sterminio del Governo israeliano che ha alla base il razzismo e il sadismo che anima e alimenta le destre in tutto lOccidente è responsabile del rovesciamento suicida autolesionista della questione ebraica novecentesca.

Senza mai dimenticare le voci critiche che si sollevano tra difficoltà sia in Israele che a Gaza, contro i fanatismi fondamentalisti.

Il punto che squaderna “l’inumano” che avviene a Gaza : è il laboratorio di un futuro possibile da scongiurare con tutti i mezzi e per ogni dove, fatto di ossessione identitaria, pulizia etnica, deportazioni, remigration, controllo e sorveglianza intelligenti” sulla popolazione, annichilimento dellinformazione.

Un laboratorio che si avvale non solo dell’indifferenza, ma anche ella “normalizzazione” della quotidiana fabbrica dellorrore. Va fatta saltare.

Ne va dei palestinesi, della loro sopravvivenza, della loro resistenza. Ma ne va anche di noi.

Quinta questione. La differenza politica (non biologistica, non fondata sull’esistenzialismo materno) delle donne nella lotta per la pace.

Per noi, “Donneinsiemeperlapace” interrogarci sulla guerra ha significa to interrogarci sulle relazioni tra uomini e donne, sulle regole con le quali stiamo al mondo, assumendo lo sguardo di chi subisce la logica di oppressione.

Il divampare dei troppi pezzi della guerra globale ci dice quanto non sia desiderabile “fare come gli uomini”.

Carla Lonzi scrive: «La differenza femminile sono duemila anni di assenza dalla storia: approfittiamo dell’assenza», la stessa assenza che ha reso le donne estranee alla guerra di cui patiscono per prime gli orrori, come i bambine/i e la popolazione civile.

Il fatto che autorevoli donne alla guida dell’Europa, da Ursula von Der Leyen a Giorgia Meloni del nostro paese, siano corresponsabili di una politica di riarmo, non cambia il dato innegabile che nella storia dell’umanità le guerre, gli stermini, gli stupri sono state scelte e opere maschili

Virginia Woolf nel 1938, alla vigilia della seconda guerra mondiale esplorava con Le tre Ghinee lo stretto legame tra visione patriarcale e militarismo.

La guerra replica ed amplifica un ordine fondato sulla separazione dei ruoli, sulla soggezione di un genere rispetto all’altro: in tempi di guerra gli uomini combattono, le donne stanno a casa, proteggono i bambini, curano i feriti negli ospedali.

I corpi delle donne divengono campi di battaglia, lo stupro viene usato come arma di guerra. Gratis. Come la fame, la sete, la mancanza di assistenza sanitaria.

Il femminismo indica un’altra strada, chiede il ribaltamento della logica di dominio: per fuoriuscire dalla subordinazione della logica patriarcale dobbiamo costruire relazioni paritarie improntate ai valori della libertà, dell‘uguaglianza, del rispetto reciproco.

Scrive Virginia Wolff: “Il modo migliore per aiutarvi a prevenire la guerra non è ripetere le vostre parole e seguire i vostri metodi, ma trovare nuove parole inventando nuovi metodi”.

La nostra scelta è sostenere e rilanciare la voce e l’azione di chi nei luoghi di conflitto, con incomparabili difficoltà, è in prima linea per dimostrare che la pacificazione e la convivenza sono possibili. (I movimenti di Women Wage Peace e Women of the Sun in Israele e Palestina per esempio).

Il movimento delle donne conosce il conflitto, lo ha praticato senza la pretesa di cancellare “l’altro“, realizzando attraverso di esso, la più profonda e pacifica rivoluzione del novecento che ha cambiato le relazioni umane all’insegna della libertà e del rispetto reciproco

Da femministe, il nostro pacifismo è una critica radicale al nazionalismo, ai presunti scontri di civiltà, ad un ordine mondiale basato sull’uso della forza; è un impegno affinché l’Europa trovi il suo ruolo nel mondo come soggetto politico, per la pace, per l’accoglienza, per la giustizia e lo sviluppo sostenibile.

Nell’esperienza della “cura del vivere e convivere” così distintiva della vita di tante donne cogliamo una civilizzazione basata sul valore dell’interdipendenza e della reciprocità così evidente durante la pandemia, fatta di responsabilità verso “l’altro” a partire dalla libertà di scelta sulla riproduzione, fatta di responsabilità verso le nuove generazioni per restituire un ambiente illeso, fata di accudimento dei corpi e delle menti, fatta del farsi carico di vite fragili e vulnerabili.

Un altro modo di stare al mondo contrario alla dominazione distruttiva di legami e degli scambi, all’istigazione ad odiare.

Il valore supremo da perseguire ostinatamente per noi è la ricerca del dialogo, del confronto, della comprensione reciproca, della mediazione, del compromesso indispensabili al raggiungimento di soluzioni condivise che facciano prima di tutto cessare il fuoco, tacere le armi, ridare forza alla politica e a tutti i suoi mezzi: economia, diplomazia, apparati di sicurezza, scambi culturali, dialogo interreligioso.

Non piegarsi alla disumanizzazione, alla necessità della deterrenza armata e alla ineluttabilità della guerra, é già un modo per tenere aperta la via della pace ovunque divampi quella “terza guerra mondiale a pezzi” a cui stiamo assistendo.

Nel 2025 saranno trascorsi 50 anni dagli accordi di Helsinki il senso di quello straordinario atto di pace, di coesistenza, di disarmo, di affermazione di diritti umani di cui fu capace la politica mondiale va rilanciato dal basso. In questo mondo così tragicamente instabile rievocare quel significato è più che mai illuminante. Rilanciare il suo significato è il modo migliore per rendere onore alla memoria di Mario Primicerio ricordato prima da Massimo Migani.