Intellettuali e PCI un libro di Giuseppe Vacca

titolo del libro Astratti furori e senso della storia : politica e cultura nella sinistra italiana (1945-1968) / Giuseppe Vacca. Viella, 2025
Il report contiene:
Scheda bibliografica
Abstract
Indice
Recensione: Intellettuali e Pci, quella complessa stagione dell’«impegno» Guido Liguori Il Manifesto 17-6-25

Vacca, Giuseppe <1939- >
Astratti furori e senso della storia : politica e cultura nella sinistra italiana (1945-1968) / Giuseppe Vacca ; a cura di Anna Fantoni ; con un saggio di Marcello Mustè. – Roma : Viella, 2025. – 217 p. ; 21 cm. – (La storia. Temi ; 126).) – [ISBN] 9791254697207.

Abstract

Il libro ricostruisce il clima del “lungo dopoguerra” nel quale, tra accesi contrasti, gli scritti di Gramsci cominciarono a esercitare la loro ininterrotta influenza. Il confronto si dispiegò tra chi tendeva a promuovere un nuovo pensiero marxista innestato sulle correnti progressive della cultura italiana e chi coltivava strategie culturali di impianto antistoricista e “radicale”. La costruzione di una genealogia del marxismo italiano fu promossa da Togliatti attraverso le riviste del Pci «Rinascita», «Società», «Il Contemporaneo» e altre minori, mentre percorsi alternativi furono perseguiti attraverso «Il Politecnico», i «Quaderni rossi», «Classe operaia» e i «Quaderni piacentini», da figure come Elio Vittorini, Franco Fortini, Raniero Panzieri, Mario Tronti e Alberto Asor Rosa. A ottant’anni dalla nascita della Repubblica le ragioni della contesa appaiono di rinnovato interesse. 

SEGUE INDICE E RECENSIONE Intellettuali e Pci, quella complessa stagione dell’«impegno» Guido Liguori Il Manifesto 17-6-25

Indice

Prefazione
1. La politica culturale di Togliatti e il caso Vittorini
1. Il ritorno del «Politecnico»
2. Le sfide di Vittorini
3. La «quistione politica degli intellettuali» nella formazione di Togliatti
4. Lo spartiacque dell’«Ordine Nuovo»
5. Soggettività dei popoli e funzione degli intellettuali
6. «L’Anti-Croce»
7. La ricerca di una tradizione
2. Gli intellettuali di sinistra e la crisi del 1956
1. Un dibattito del «Contemporaneo»
2. Il XX Congresso del Pcus e i “ritardi” del Pci
3. L’VIII Congresso e la «via italiana al socialismo»
3. Il «neomarxismo» degli anni Sessanta
1. Dibattiti sull’unificazione capitalistica
2. Dalla filosofia di Marx alla sociologia del potere operaio
3. Fine del «mandato sociale» degli scrittori ed «elogio della negazione»
4. Le dispute sull’organizzazione: dalla prefigurazione della società futura alla ricerca di un «detonatore sociale»
5. Classe operaia e riforme di struttura
6. Le contraddizioni della «scuola di classe»
7. Il fascino dell’anarchia
8. La politica ridefinita
4. Il ritorno dell’hegelismo napoletano
1. Le interpretazioni di Croce e di Gentile
2. Mutamento di paradigmi: Gramsci e Garin
3. De Sanctis etico-politico da Luigi Russo a Sergio Landucci
4. Il giovane Spaventa e la genealogia del «marxismo italiano»
5. Resilienze gentiliane: Armando Plebe e Italo Cubeddu
6. Augusto Vera e la corrente ortodossa
5. Spaventa progressivo
1. Fra hegelismo e democrazia sociale
2. Unificazione nazionale ed egemonia culturale
3. Filosofia della praxis e «Stato etico o di cultura»
Marcello Mustè
Intellettuali e filosofia della praxis. Note per un bilancio
1. L’eredità di Gramsci
2. Meriti e limiti della “politica culturale” di Togliatti
3. Politica “parte della cultura” e “politica della cultura”. Da Vittorini a Bobbio
4. Il neomarxismo e l’eclisse della dialettica
5. Infine, tornando a Gramsci
Indice dei nomi

Recensione

Intellettuali e Pci, quella complessa stagione dell’«impegno» Guido Liguori Il Manifesto 17-6-25

SAGGI Viella pubblica «Astratti furori e senso della storia. Politica e cultura nella sinistra italiana (1945-1968)», di Giuseppe Vacca. Il volume è a cura di Anna Fantoni e con uno scritto di Marcello Mustè


Il rapporto tra politica e cultura è uno dei luoghi classici della riflessione sul comunismo italiano. Il tema risale alla vicenda dei giovani intellettuali rivoluzionari dell’Ordine Nuovo, ma riguarda soprattutto il Pci togliattiano del dopoguerra. Uno degli anelli fondamentali della nuova politica del «partito nuovo» fu quello del rapporto con gli intellettuali, individuato come centrale a partire dalle riflessioni gramsciane. Ma che non fu un rapporto senza spine e problemi, sia nell’immediato dopoguerra che nei decenni successivi. A questo insieme di questioni sono dedicati i saggi di Giuseppe Vacca raccolti nel volume Astratti furori e senso della storia. Politica e cultura nella sinistra italiana (1945-1968), a cura di Anna Fantoni e con uno scritto di Marcello Mustè (Viella, pp. 217, euro 25). Si tratta di contributi degli anni Settanta, riproposti iniziando dai più noti, dedicati a Vittorini, agli intellettuali di sinistra a metà anni Cinquanta e al «neomarxismo» del decennio successivo. A cui si aggiungono due saggi precedenti, sull’influenza dell’hegelismo napoletano, sempre a partire da spunti presenti nella politica culturale togliattiana.

IL PRIMO DEI MOMENTI nei quali il libro si articola è la polemica tra Elio Vittorini, direttore del Politecnico, e Togliatti. Se era presente in questi la preoccupazione di non oltrepassare i confini consentiti dallo zdanovismo e dal Cominform in un momento in cui la stessa leadership del dirigente italiano era in bilico. Ma Vacca evidenzia anche il motivo meno contingente della posizione togliattiana: la polemica contro la «separatezza» degli intellettuali (motivo presente fin dagli anni Venti), contro il loro «protagonismo» e il loro «senso comune», che persisteva nel reputare l’intellettuale come dotato di uno status speciale, che lo avrebbe autorizzato a «dettare la linea» al partito (non «compagno tra i compagni», come molti anni più tardi auspicherà Rossanda).Il modo togliattiano di combattere lo zdanovismo era diverso: una massiccia iniezione di pensiero gramsciano, che veniva presentato come compatibile col marxismo-leninismo ma che in realtà non lo era affatto e che quindi avrebbe contribuito a cambiare il Pci. Ciò che si può aggiungere, e che spesso non è oggi a tutti noto, è che al vertice del partito prevalevano allora i dirigenti non gramsciani o surrettiziamente anti-gramsciani (di varie tendenze): l’operazione di Togliatti era controcorrente, e anche per questo egli preferì puntare su intellettuali e dirigenti giovani, piuttosto che su molti di quelli formatisi in ambito cominternista. Vacca non sposa la vulgata che esalta la visione «liberale» di Vittorini. Indica però un diverso limite nella politica culturale di Togliatti: l’aver privilegiato il «ribaltamento» della «tradizione storiografica», mantenendola tuttavia come centrale. Non fu anche questa – aggiungo – l’origine della difficoltà di rapporto che il Pci ebbe con molta intellettualità del Nord? Il discorso gramsciano sull’«apparato egemonico» (e anche sull’«intellettuale organico») era sicuramente più complesso e non venne «tradotto» che parzialmente, prevalendo in molti casi un discorso di «alleanze» tra partito e «intellettuali tradizionali».

IL SECONDO SNODO della vicenda narrata dal libro è quello relativo al 1956. Uno dei momenti più significativi fu il dibattito tra intellettuali marxisti di varia ascendenza sul Contemporaneo tra il marzo e il luglio di quell’anno, anche a testimoniare che una revisione della politica culturale si era resa necessaria a prescindere dagli avvenimenti dell’Est: concludendo il dibattito Mario Alicata riconobbe che si era stati «troppo poco gramsciani». Il confronto più interessante fu col gruppo di intellettuali socialisti di sinistra (Guiducci, Fortini, Caprioglio, ecc.) riuniti nella rivista Ragionamenti, che proponevano una «autorganizzazione degli intellettuali», esterna alle organizzazioni tradizionali del movimento operaio. L’«autonomia organizzativa della cultura» da essi auspicata, nonostante il gran parlare che facevano di Gramsci, era un’ipotesi profondamente anti-gramsciana e richiamava piuttosto le posizioni di Vittorini.Un terzo momento del libro concerne il «neomarxismo» degli anni Sessanta, soprattutto Panzieri e i Quaderni rossi, che propugnavano un recupero selettivo di Marx, riducendo Il Capitale a modello valido per un «capitalismo concorrenziale» che non vi era più, e parimenti accantonava sia Lenin che Gramsci.

UNA VICENDA ancora una volta di «protagonismo degli intellettuali», dichiaratisi autonomi dalle organizzazioni partitiche o più tardi volti al tentativo di farsi partito essi stessi. Un capitolo di grande rilevanza per l’eredità (non tutta positiva) lasciata al «movimento», studentesco e non, esploso a fine decennio. Alcune delle vicende narrate dal libro si sono ammantate di richiami gramsciani, ma furono in realtà un momento di resistenza (nota giustamente Mustè) alla cultura gramsciana. Anche oggi l’enorme diffusione della fortuna di Gramsci nel mondo – scrive Vacca – consegna questo autore a contesti altri (i «cultural studies» e i loro derivati) o alla contaminazione sincretica con tradizioni marxiste o post-marxiste del tutto diverse, che smarriscono il nesso con le stesse categorie centrali di Gramsci. Una constatazione vera, un processo forse inevitabile, ma che lascia un po’ di amaro in bocca.