Zielonka, Jan
Contro-rivoluzione : la disfatta dell’Europa liberale / Jan Zielonka ; traduzione di Michele Sampaolo. – Bari ; Roma : Laterza, 2018. – XVIII, 190 p. ; 21 cm. – (I Robinson. Letture).) – [ISBN] 978-88-581-2993-7. – [BNI] 2018-11248.
ABSTRACT CON SINTESI ANALITICA
Tesi centrale: L’Europa vive una contro-rivoluzione illiberale (nazionalisti, sovranisti, populisti) che reagisce ai fallimenti del liberalismo:
- Crisi di rappresentanza (élite distanti, democrazia “oligarchica”)
- Economia iniqua (neoliberismo, austerity, divario ricchi-poveri)
- Geopolitica della paura (migranti, Russia, crisi identitarie)
Casi studio:
- Italia (M5S-Lega vs eredità PD-Forza Italia)
- Polonia (PiS e guerra allo Stato di diritto)
- Grecia (Syriza e trappola dell’eurozona)
- Brexit (sovranismo vs interdipendenza)
Struttura dell’analisi:
- Radici del malcontento:
- Liberalismo ridotto a tecnocrazia (UE, banche centrali)
- Post-verità come arma politica (slogan vs complessità)
- Paradossi della contro-rivoluzione:
- Promette sovranità ma genera caos (es. Polonia vs sistema giudiziario)
- Critica l’UE ma dipende dai suoi fondi (es. Italia e PNRR)
- Punto di non ritorno:
- Impossibilità di tornare al liberalismo pre-crisi
- Necessità di nuovi modelli (democrazia partecipativa, welfare innovativo)
Conclusioni:
- La contro-rivoluzione è sintomo, non cura.
- Senza un’alternativa progressista, il vuoto sarà riempito da autoritarismi.
Keywords: Sovranismo, Post-democrazia, Oligarchia, Euroscetticismo, Crisi migratoria, Neoliberismo, Democrazia illiberale,
Utile per: Capire le radici del populismo europeo e i limiti delle risposte liberali.
Indice
Prefazione all’edizione italiana
Prologo
1. Dalla rivoluzione alla contro – rivoluzione
Il significato del cambiamento
Bersagli della contestazione
La rivolta dei contro – rivoluzionari
Individuare le priorità
2. Perché i contro – rivoluzionari odiano i liberali
Ideologia del potere
Post – verità
Persi nell’universo
Che valgo io?
3. Disagio democratico
Rappresentanza malfunzionante
Oligarchia liberale
Veti dall’esterno
Come si dà potere ai cittadini?
4. Socialismo per ricchi
Di crisi in crisi
La rivoluzione neoliberista
Guadagnare tempo
La domanda da un miliardo di bitcoin
5. Geopolitica della paura
Vicini esplosivi
Germania dominante e Russia ostinata
Nessun ordine, solo confusione
6. Barbari alle porte
Crisi dei rifugiati
Fatti e finzione
Posizioni pragmatiche versus posizioni morali
7. Ascesa e caduta dell’Unione europea
Radici liberali
Vicolo cieco
La complicata situazione della Brexit
Consolidamento versus reinvenzione
8. Uno sguardo nel futuro
Il senso di una direzione
Società aperta per il XXI secolo
Immaginazione e sperimentazione
Oltre la rappresentanza parlamentare
Strategia e azione
Il nuovo inizio
Bibliografia
Dahrendorf
Liberalismo
Anti – liberalismo
Post – liberalismo
Democrazia
Capitalismo
Confini
Geopolitica
Potere
Integrazione
Crisi
Storia
Ringraziamenti
Presentazione Editore
In tutta Europa è in atto una vera e propria contro-rivoluzione che attacca i fondamenti liberali del continente. Alcuni dei ‘controrivoluzionari’ sono neofascisti, altri sono neocomunisti; alcuni sono contro l’austerità, altri contro i musulmani; alcuni sono secessionisti, altri nazionalisti; alcuni sono moderati, altri estremisti. Ma tutti hanno una cosa in comune: sono contrari all’ordine liberale e ai suoi progetti chiave come l’integrazione europea, il liberalismo costituzionale e l’economia liberista.
Prefazione all’edizione italiana
Questo libro riguarda l’Europa, ma anche più specificamente l’Italia. In effetti la politica italiana mi ha ispirato ampiamente: è del tutto evidente che l’Italia di oggi rappresenta un caso da manuale di contro – rivoluzione. Ed è anche chiaro che l’Italia può imparare qualcosa da altre varianti dell’ondata antiliberale che sta inghiottendo tutto il mondo occidentale. Da Washington a Varsavia, Atene e Berlino, i politici anti – establishment continuano ad avanzare a spese dei politici di centro – sinistra e di centro – destra. Questa è la nuova normalità, e l’Italia, con le votazioni del 4 marzo 2018, non ha fatto che confermare in maniera abbastanza spettacolare una tendenza generale. Ancora una volta gli italiani si sono dimostrati maestri del melodramma e del teatro politico. Ma versioni diverse di questo melodramma vengono rappresentate nei teatri dell’intera Europa. So bene che l’orgoglio dei cittadini di ogni nazione li spinge a pensare che il loro paese è unico. Tuttavia, alcune tendenze sono comuni, nonostante le differenze di storia e cultura. La contro – rivoluzione di cui parliamo nel presente libro è una di queste tendenze comuni.
A differenza della Germania, dell’Olanda o della Svezia, non c’è mai stato in Italia un partito di peso che si presentasse col nome di liberale 1 . Ma negli ultimi trent’anni circa gli ideali liberali sono stati sbandierati dalla maggior parte dei partiti italiani, dal Partito Democratico a Forza Italia. Nessuno dei principali partiti italiani ha messo in discussione il progetto di integrazione europea con i suoi confini aperti al movimento di capitali, merci, persone e servizi. L’economia del libero mercato è stata abbracciata anche dagli ex comunisti. La democrazia liberale, con la sua insistenza sui diritti umani e i diritti delle minoranze, era una scelta indiscussa. I governi italiani che si sono succeduti, sia di sinistra sia di destra, hanno abbracciato la diplomazia multilaterale e gli interventi militari umanitari. Hanno rispettato, almeno formalmente, i diritti dei rifugiati codificati nelle convenzioni internazionali. Non hanno contestato le decisioni prese dagli organismi internazionali a New York (Nazioni Unite) o a Bruxelles (Unione europea). Ma ormai questa è storia, come ha mostrato perfettamente la lunga campagna elettorale del 2018. In cui sono state prese di mira alcune premesse liberali basilari, e a uscirne vincitori sono stati quelli che urlavano più forte contro l’eredità liberale. Il credo antiliberale si è rivelato la più potente arma elettorale, e sicuramente sarà messo in campo anche in futuro. Probabilmente la sola cosa che il Movimento 5 Stelle e la Lega hanno in comune è la loro determinazione a cancellare l’eredità liberale. Per tutto il resto, praticamente, sono diversi.
I politici liberali italiani si trovano ora a lottare per la sopravvivenza; i politici antiliberali, invece, combattono per contendersi i posti di governo. È cominciata una nuova era; e i liberali non hanno davanti a sé una strada facile per il recupero. Quanto prima capiranno il senso del cambiamento, tanto maggiori saranno per loro le possibilità di ripresa. Ma il cammino della ripresa potrebbe richiedere anni. Nuove visioni, nuovi leader, nuovi partiti non si costruiscono dall’oggi al domani con un semplice tweet. Intanto, l’Italia, come molti altri paesi occidentali, sarà governata da persone decise a disfare i decenni di governo liberale. Esse potrebbero correggere alcuni errori commessi nel passato, ma potrebbero anche provocare caos, se non danni. Una cosa è criticare gli errori passati; altra cosa è cambiare la vita in meglio. Quelli che hanno voltato le spalle ai liberali e li hanno cacciati dal potere si aspettano dai nuovi arrivati alla cabina di comando non soltanto epurazioni politiche, ma anche concreti miglioramenti delle loro condizioni personali. Le prime sono molto più facili da realizzare che i secondi.
L’ondata antiliberale ha molte varianti locali. Ciò è dovuto in parte al fatto che contano le personalità presenti nell’agone politico locale e in parte al fatto che le situazioni culturali, economiche e geopolitiche variano da luogo a luogo. Matteo Salvini non è divertente come Beppe Grillo, e se la passa meglio nel Nord che nel Sud. Lo stesso discorso vale per l’Europa. Paragonare il leader polacco del partito Diritto e Giustizia (PiS) Jarosław Kaczy ń ski al leader greco di Syriza, Alexis Tsipras, è come confrontare mele con pietre. Altrettanto si può dire del confronto di Timo Soini della Finlandia con Pablo Iglesias della Spagna. Alcuni degli insorgenti anti – establishment sono neofascisti, altri sono neocomunisti; alcuni insistono sull’austerità, altri insistono sui musulmani; alcuni sono secessionisti, altri sono nazionalisti; alcuni sono moderati, altri sono estremisti. Ma tutti hanno una cosa in comune: sono contrari all’ordine liberale e ai suoi progetti chiave come l’integrazione europea, il liberalismo costituzionale e l’economia liberista. I migranti sono diventati il punto centrale nella maggior parte delle loro campagne politiche, perché i migranti rappresentano un prodotto essenziale della politica liberale di apertura dei confini, di protezione delle minoranze e di configurazione dell’interdipendenza economica. In questo senso, l’Italia è uguale al resto del continente.
Nel momento in cui scrivo, la politica italiana è parecchio instabile, ma lo stesso si può dire di molti altri paesi europei. Nel Regno Unito le divisioni create dal referendum sulla Brexit sono profonde e insanabili. Il Partito Conservatore non ha una maggioranza alla Camera dei Comuni e viene battuto quasi ogni giorno nella Camera dei Lord. La popolarità di Macron in Francia, scoppiata all’improvviso, si è da tempo affievolita, e attualmente egli si trova ad affrontare scioperi e manifestazioni di protesta ogni settimana. In Spagna, il conflitto fra il governo nazionale di Madrid e quello regionale di Barcellona è esploso in episodi violenti in numerose occasioni senza alle viste soluzioni praticabili. Il Primo ministro Mariano Rajoy, dopo aver guidato un governo di minoranza con politiche pubblicamente contestate non solo sulle strade di Catalogna, ma anche da dimostrazioni in tutta la Spagna, organizzate per esempio da decine di migliaia di pensionati arrabbiati, ha dovuto lasciare il posto al leader socialista Pedro Sánchez nel giugno 2018 a seguito delle accuse di corruzione che lo hanno travolto. Pochi giorni dopo il trionfo di Viktor Orbán nelle elezioni politiche ungheresi dell’aprile 2018, decine di migliaia di cittadini si sono radunati nelle strade di Budapest per manifestare contro il suo dominio. Qualche settimana prima, dimostrazioni di massa nelle città slovacche avevano costretto il Primo ministro Robert Fico alle dimissioni. Le piazze delle città polacche sono regolarmente teatro di dimostrazioni di protesta contro l’ondata illiberale nella politica della Polonia o a suo favore. La Germania appare come un’oasi di prosperità e di pace a confronto dei suoi partner europei, ma anche ad Angela Merkel ci sono voluti parecchi mesi per formare un nuovo governo, e non è affatto sicuro che duri per l’intera legislatura. Rivoluzioni e contro – rivoluzioni sono sempre portatrici di turbolenze, e non abbiamo ancora assistito alle peggiori manifestazioni della confusione e del conflitto generati dall’attuale delirio politico.
I «nuovi arrivati» hanno sollevato una gran quantità di valide critiche all’establishment liberale. Sotto il dominio liberale le disuguaglianze si sono allargate, a volte in misura scandalosa, la democrazia ha assunto connotati oligarchici e la diplomazia internazionale si è rivelata altamente manipolativa. Ma saper distruggere un vecchio ordine non implica essere capaci di costruirne uno nuovo. Per quest’ultimo compito c’è bisogno di un plausibile progetto alternativo e di un efficace sistema di governance. Il vecchio regime liberale può anche meritare le critiche che gli sono piovute addosso, ma ciò non vuol dire che quelli che ne prendono il posto sapranno realizzare le loro promesse elettorali nonostante tutte le buone intenzioni. L’universo del governo è altra cosa rispetto al cosmo dell’opposizione. Contano le strategie politiche che vengono scelte, come apprendiamo dai paesi dove i politici anti – establishment hanno conquistato la «stanza dei bottoni» del governo prima che ciò accadesse in Italia. I due esempi contrapposti sono la Polonia e la Grecia.
Tanto Syriza, di sinistra, in Grecia, quanto PiS, di destra, in Polonia, hanno vinto le elezioni all’insegna della giustizia sociale, del potere ai cittadini e della libertà dall’interferenza esterna, rispettivamente nel campo dell’economia o dell’immigrazione. Gli stessi slogan campeggiavano anche sulle bandiere del Movimento 5 Stelle e della Lega nelle recenti elezioni italiane. L’esperienza della Polonia indica che significative politiche sociali sono possibili, almeno per un certo periodo, mentre il caso greco suggerisce il contrario. Le ragioni di queste divergenze sono piuttosto chiare. L’economia della Polonia è cresciuta di oltre il 20 per cento nell’ultimo decennio, mentre l’economia della Grecia nello stesso arco di tempo si è contratta nella stessa proporzione. Inoltre, la Polonia non ha la camicia di forza dell’eurozona, ed è quindi più libera della Grecia di aiutare i cittadini economicamente svantaggiati. Gli italiani tendono a pensare che la loro situazione economica sia molto migliore di quella della Grecia. Pier Carlo Padoan ha continuato a ripetere che il debito italiano può anche essere enorme, ma è sostenibile. È probabile che i ministri dell’eurozona e gli speculatori degli hedge funds la penseranno diversamente circa questa sostenibilità quando Roma comincerà a staccare assegni per i disoccupati e i poveri. Ciò non significa che il nuovo governo italiano debba rinunciare alla sua ricerca di giustizia sociale, ma deve essere ben consapevole della sfida che ha davanti. Nell’attuale universo non liberale, è probabile che tutti i notevoli sforzi di aumentare la spesa dello Stato e di allargare i diritti degli occupati scatenino una reazione dei mercati, un trasferimento degli affari all’estero e una conseguente delusione negli elettori. Il nuovo governo deve sapere in anticipo come affrontare queste situazioni.
La Polonia non era costretta a preoccuparsi dell’eurozona, ma la Costituzione della Polonia impone comunque allo Stato di contenere le spese entro i limiti dei suoi mezzi, e le generose politiche sociali di PiS potrebbero essere colpite dalle obiezioni della Corte Costituzionale. Ciò spiega in parte perché PiS abbia tentato prima di paralizzare la Corte Costituzionale e poi di riempirla di propri uomini. La conquista politica della Corte Costituzionale ha prodotto una reazione a catena che sfugge al controllo di chiunque. Nel giro di qualche mese, PiS si è trovato invischiato in una guerra con l’intero sistema giudiziario, con giudici di diversi tribunali che rifiutavano di cooperare con l’autorità politica. Ne è risultata una gran confusione giudiziaria e la sovranità della legge è diventata una farsa. Così ora si aggirano per il paese cricche della cerchia del leader del partito, Jarosław Kaczy ń ski, che, senza controlli e contrappesi istituzionali, fanno approvare una cattiva legge dopo l’altra. La legge che punisce come reato l’affermazione che i polacchi furono collettivamente corresponsabili dei crimini connessi all’Olocausto ne è l’esempio più tragico. Essa ha fatto diventare il governo PiS uno zimbello internazionale, facendo rivivere i fantasmi dell’antisemitismo in Polonia. Kaczy ń ski ha usato parole forti contro l’antisemitismo, nell’intento di rinvigorire il popolo polacco assolvendolo da ogni accusa. Il risultato è perverso. La lezione è che non si può dare forza al popolo castigando ebrei, migranti, minoranze e stranieri. Una cosa è scagliarsi contro il potere sempre crescente di giudici, banchieri centrali e agenzie di regolamentazione, che non sono eletti, altra cosa è governare per decreto senza controlli e contrappesi. I quali possono rendere il percorso decisionale faticoso, ma evitano ai governanti il rischio di assumere decisioni stupide. La gente non può sentirsi veramente forte in un’atmosfera di conflitto e di caos.
La Polonia e la Grecia offrono anche lezioni interessanti sulle politiche europee. In entrambi questi Stati, come in Italia, la maggioranza dei cittadini è a favore dell’integrazione europea, compresi quelli che hanno votato per partiti anti – establishment. È un’ironia della storia che Polonia e Grecia siano in guerra con l’Unione europea, anche se su questioni differenti e in maniera diversa. La Grecia ha di fatto perduto la propria sovranità perché Tsipras non aveva un piano B nel caso i risultati del referendum da lui promosso non fossero stati accolti bene a Berlino e a Bruxelles. Se non vuoi accettare le regole dell’eurozona, devi essere pronto a una dura battaglia e a un’eventuale uscita dalle strutture europee. Un esito del genere non è la fine del mondo ma, come i britannici stanno imparando giorno dopo giorno, la sovranità ha il suo prezzo. Il governo PiS in Polonia sembra determinato a pagare un alto prezzo per la sua recentemente riconquistata sovranità, ma non è chiaro se la popolazione polacca sia felice di spingersi così avanti con PiS. Nel momento in cui la situazione si surriscaldasse, i polacchi potrebbero buttare a mare Kaczy ń ski per Tusk, l’attuale Presidente del Consiglio europeo ed ex Primo ministro della Polonia. Inoltre, l’uscita dall’Unione europea non risolverebbe automaticamente i problemi greci e polacchi. I migranti non cesseranno di attraversare i confini d’Europa per il solo fatto che qualche paese lascia l’Unione europea o la moneta unica. Ci saranno sempre creditori che non hanno nessuna intenzione di coprire i debiti greci e speculatori pronti a sfruttare la debolezza economica della Grecia. E ci saranno sempre media internazionali e organizzazioni non governative che condanneranno la democrazia illiberale e l’antisemitismo in Polonia.
L’Italia non è né la Grecia né la Polonia, ma non si possono ignorare le lezioni di questi due paesi. Ai media piace concentrarsi sulle individualità e i retroscena politici. Ma dovrebbero invece dare spazio ai dilemmi politici che tutti i nuovi governi con programmi radicali di cambiamento devono affrontare. Dovrebbero puntare l’obiettivo sui valori e le norme che si nascondono dietro gli slogan politici. Dovrebbero guardare all’Italia come a un caso particolare dell’affascinante esperimento storico che va sviluppandosi in Europa. Questo esperimento rappresenta insieme un pericolo e un’opportunità per l’Italia e l’Europa. Abbiamo bisogno di capirne le radici, la dinamica e la destinazione finale. Questo libro cerca di comprendere una sconvolgente svolta ideologica, che ci porta lontano dall’egemonia liberale verso un grande ignoto.
1 Le origini del liberalismo in Italia sono di solito associate con un gruppo parlamentare formato da Camillo Benso conte di Cavour dopo la rivoluzione del 1848. Ma né l’Unione Liberale né il Partito Liberale Italiano hanno acquisito particolare rilevanza nella politica italiana. Cfr., per esempio, Antonio Patuelli, I liberali da Cavour a Malagodi , EliDiR, Roma 1992.
